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Globalizzazione, cos'è e come ha cambiato il mondo

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Una prima definizione

Con il termine “Globalizzazione” si intende il fenomeno per cui i processi rilevanti sul piano economico, tecnologico, sociale, culturale, politico, ambientale avvengano con una forte interdipendenza, su scala mondiale. Spesso, infatti, in passato, si è parlato anche di “Mondializzazione”.

Se la base del fenomeno trae le proprie origini all’interno dei meccanismi e dei flussi di natura economica (e ancor prima commerciale), è innegabile che l’avvento delle tecnologie applicate alla comunicazione – internet su tutte – abbia amplificato e velocizzato il processo di globalizzazione.

In campo economico

Parliamo di globalizzazione dei mercati. Ovvero una sorta di unificazione della produzione e del consumo, su scala mondiale.

Accompagnata da una vera e propria omologazione del bisogno e della richiesta – sul piano, quindi, anche sociale e culturale – trae la propria forza dalla perdita delle specificità locali, sostituite da gusti omogenei e standardizzati.

Prima del marketing applicato al prodotto, quindi, si parla di marketing del gusto e del bisogno. Una sorta – a detta di molti – di manipolazione culturale su vasca scala.

Spesso, il termine Globalizzazione si sovrappone al concetto di Liberalizzazione. Di fatto, i due fenomeni sono strettamente interconnessi, attraverso il meccanismo di progressiva riduzione, da parte di molti Paesi, di ogni ostacolo alla libera circolazione dei capitali e dei prodotti.

Il risultato concreto, dal punto di vista della produzione, è stata la nascita di grandi imprese multinazionali, che operano al di sopra dei controlli – spesso anche delle norme – dei singoli Stati. Organizzazioni in grado non solo di esercitare un forte dominio sull’economia mondiale, ma anche forti abbastanza da influenzare le scelte finanziarie e di politica economica delle singole realtà di Governo locale.

Contemporaneamente, prende piede quella che si può definire Globalizzazione produttiva – ovvero quella che riguarda il primo processo di realizzazione delle merci – sostanziata in un processo di delocalizzazione verso i Paesi cosiddetti del Terzo e Quarto Mondo.

Le imprese transnazionali, infatti, rispondendo a criteri di ottimizzazione e riduzione dei costi, hanno iniziato a trasferire le attività di produzione dislocando in varie parti del mondo le singole fasi della catena produttiva: dalla progettazione, alla realizzazione delle singole componenti, fino alle attività di assemblaggio e controllo qualità del prodotto finito.

Anche in questo caso, determinante è stata l’introduzione della comunicazione telematica, che ha concesso la possibilità di coordinare le attività in tempi pressoché azzerati e con notevole efficacia.

Come e quando è iniziato tutto ciò

La Globalizzazione moderna trova il suo abbrivio all’interno dei processi di integrazione internazionale che si svilupparono nel XIX secolo, a seguito della rivoluzione industriale.

La nascita dell’industria, infatti, inaugurò la produzione standardizzata delle merci, mentre la crescita demografica nutriva la richiesta di beni.

Il trasporto attraverso navi a vapore ridusse in maniera significativa i costi dei trasporti oltreoceanici, mentre quelli ferroviari impattavano in modo altrettanto significativo sulla circolazione nell’entroterra. Nella prima metà dell’800, dunque, molti furono i Paesi che adottarono in via privilegiata forme di commercio internazionale, così come contribuì in maniera fondamentale la politica imperialista che l’Occidente riservò ad Africa e Asia.

Se nel primo ‘900 le Guerre Mondiali e la Grande Depressione sembravano aver posto un freno al fenomeno, nella seconda metà del secolo scorso i processi di Globalizzazione ripresero con spinte nuove e prepotenti.

Dal 1960 in poi, infatti, l’accelerazione tecnologica applicata alla comunicazione – veloce e sempre più efficace – ha permesso una nuova circolazione della richiesta e della risposta al bisogno.

Le distanze fisiche – grazie alle risorse informatiche e a quelle applicate ai trasporti – si sono ridimensionate. Il mondo “si è fatto più piccolo”.

La Finanza

Naturale conseguenza di quanto detto è – oggi in maniera prepotentemente evidente – l’espansione della portata economica della Finanza internazionale. A tal punto che il valore delle transazioni giornaliere sui mercati valutari risulta superiore alle riserve di valuta esistenti.

A contribuire a tale fenomeno, anche l’ampliarsi delle zone economiche del mondo in cui si sono rimossi gli ostacoli di natura ideologica, normativa – e quindi pratica – in ordine alle politiche tariffarie e fiscali che impedivano la circolazione libera di merci e capitali; ad esempio nelle zone dell’ex blocco sovietico, in Paesi ad ispirazione socialista o in via di sviluppo.

Le conseguenze sul mondo, dunque?

A tale proposito, il dibattito è fervente. Nessun fenomeno è univocamente positivo o – con le dovute, drammatiche eccezioni – negativo; la Globalizzazione non fa eccezione.

Cosa si può evidenziare, allora?

– Ricadute positive dal punto di vista dell’efficienza economica e di sviluppo.
La “libera” circolazione delle idee e delle risorse può (o potrebbe) non soltanto portare a una produttività in grado di “non lasciare indietro” le zone più deprivate del mondo, ma è (o sarebbe) in grado di portare a una progressiva riduzione del divario tra nord e sud del mondo.

– Di contro, invece, la deriva a cui si assiste appare essere quella opposta: gli squilibri (economici, tecnologici ma anche politico-culturali e sociali), nonché le dinamiche di mercato parecchio lontane dalle regole di una concorrenza perfetta, sembrano amplificare la distanza tra Paesi ricchi e Paesi poveri.

Di fatto, ancora una volta, sembra che i Paesi in via di sviluppo vengano schiacciati all’interno dei processi globali, a fronte di un ingente, crescente vantaggio appannaggio dei “soliti” Paesi del cosiddetto Primo Mondo.

– Sul piano culturale, l’abbattimento delle barriere ha, sì, portato a una circolazione delle idee e dei modelli culturali, sospinti dallo sviluppo vertiginoso delle tecnologie in rapida espansione e cambiamento costante. Ma, anche lì, la distribuzione degli strumenti tecnologici – e quindi l’accesso alla nuova ricchezza per eccellenza: quella del sapere e delle informazioni – appare ancora una volta fortemente sperequata.

– Oltre a ciò, in relazione all’esportazione dei modelli – si assiste a un fenomeno di autentico Imperialismo culturale. La supremazia, in termini di percezione del bello, del positivo, del vincente, veicolata dalle grandi multinazionali dell’informazione e dell’entertainment, tende a schiacciare, manipolare, strangolare i valori locali.

– Conseguenza evidente, dunque, dei processi di globalizzazione, non è solo l’appiattimento dei modelli culturali e la cancellazione delle identità tradizionali; ma anche l’affermazione dei modelli occidentali come misura del mondo tutto.

– Un aspetto particolarmente interessante – a fronte anche degli effetti drammatici sul piano ambientale delle politiche globali di stampo industriale e consumistico – appare la nascita di organismi trans-nazionali, a forte ispirazione solidaristica, di partecipazione attiva.

Associazioni in difesa dei Diritti Umani, associazioni ambientaliste, per la tutela dei lavoratori e dei consumatori. Così come le ONG (Organizzazioni Non Governative) che su larga scala intervengono negli spazi dove non arriva (per vuoto normativo o mancanza di volontà) l’iniziativa dei singoli Governi.

– È proprio in seno a queste reti di rapporti di collaborazione che è nato un movimento del tutto trasversale, fortemente critico nei confronti delle degenerazioni dei processi di Globalizzazione. Gli elementi considerati più deleteri, infatti, e pertanto da combattere anche con azioni fortemente dimostrative, sono sostanzialmente:

  • La crescita delle disuguaglianze sociali e nella distribuzione della ricchezza mondiale
  • Il peso assunto dalle multinazionali nell’economia e nella politica dei singoli Paesi
  • Il ruolo svolto all’interno del contesto internazionale da gruppi “informali” di Paesi, riunitisi sotto etichette come “G7, G8, G20…”
  • L’onere debitorio che pesa sui Paesi meno sviluppati e maggiormente dipendenti dai più ricchi e potenti

A fine ‘900, si è assistito alla nascita di veri gruppi antagonisti (i cosiddetti No-Global), con la mission di opporsi all’inevitabilità degli effetti di consumo del pianeta e della persona, così come delle evidenti disuguaglianze imputabili all’imposizione globalizzata delle dottrine neo-liberiste di stampo occidentale.

Oggi si può dire che la consapevolezza – nella doppia direzione, positiva e negativa – nei confronti delle dinamiche globalizzate della contemporaneità sta portando parte della società a rivedere molte delle manifestazioni estreme di cui si è detto sopra.

Ma il percorso sempre più globale e globalizzato, così come la contrazione degli spazi fisici e temporali, appare un piano inclinato: irreversibile.