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Steve Jobs: chi era, cosa ha inventato e il discorso più celebre

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Steve non si chiamava Steve

Abdul Latif Jandali è il suo nome alla nascita. La mamma, statunitense di origini svizzero-tedesche, e il padre siriano (un brillante studente che sarebbe diventato poi professore di Scienze Politiche) decisero di darlo in adozione.

Racconta lo stesso Jobs: «Volevano a tutti i costi che io fossi adottato da una coppia di persone laureate e si adoperò affinché le cose fossero organizzate per farmi vivere nella casa di un avvocato e di sua moglie. Sfortunatamente quando nacqui, questa coppia cambiò idea all’ultimo momento e decise che voleva adottare una femmina. Così, i miei futuri genitori adottivi, che erano al secondo posto nella lista d’attesa, ricevettero una telefonata nel bel mezzo della notte: “C’è un bambino, un maschietto, inatteso. Lo volete?”. Loro risposero: “Certo!”.

In seguito la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva terminato il college e l’uomo non si era neppure diplomato al liceo. Pertanto si rifiutò di firmare le ultime carte relative all’adozione. Cambiò idea alcuni mesi dopo, quando i miei genitori adottivi promisero che un giorno mi avrebbero mandato al college».

Le prime piccole-grandi rivoluzioni

Il College, prestigioso e costosissimo, assorbiva tutte le energie economiche della famiglia. Steve – che ancora non sapeva bene cosa intendesse fare della propria vita – non riusciva a cogliere il senso di tutti quegli sforzi. Dopo sei mesi di frequenza, decise dunque di lasciare per iscriversi a un corso di Calligrafia.

Racconta, nel celebre discorso ai ragazzi della Stanford: «Il Reed College all’epoca offriva forse i migliori corsi di calligrafia del Paese. Nel campus, ogni poster e ogni etichetta erano scritte a mano con calligrafie stupende. Avevo abbandonato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito quello di calligrafia per imparare a scrivere in quel modo. Fu lì che imparai morfologia e utilizzo dei caratteri Serif e Sans Serif, le differenze tra gli spazi tra le combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica testuale. Fu bellissimo e io lo trovavo affascinante.»

Ciò che lì per lì sembrava magnifico quanto poco utile per il futuro, avrebbe dispiegato la propria portata qualche anno dopo. 10 anni dopo, per l’esattezza. «Quando ci trovammo a progettare il primo computer Macintosh, tutto mi tornò utile. E lo veicolammo nel Mac. È stato il primo computer con caratteri tipografici di grande qualità. Se non avessi partecipato al corso di calligrafia, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati con criteri proporzionali. E visto che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con tali caratteristiche.»

Dal garage di casa al licenziamento

La storia è nota. A tal punto da aver assunto connotati epici. Eppure, è andata esattamente così.
Steve lavorava alla Atari – la nota società di videogiochi – assieme all’amico Wozniak. Ed è con lui, nel garage di casa dei genitori, che nasce la Apple, quando i ragazzi hanno appena 20 anni. Nel giro di un decennio – dopo aver concepito e venduto i primi computer – l’Apple I, l’Apple II e il primo compatto: il Macintosh – la compagnia riuscì ad assumere oltre 4000 dipendenti, arrivando a toccare un valore di circa 2 miliardi di dollari.

Eppure, la concorrenza era parecchio agguerrita; la Società faticava non poco. A tal punto che all’interno della Apple iniziarono a nascere i primi dissapori. In particolare tra Jobs e John Sculley, l’Amministratore Delegato che Steve stesso aveva cooptato l’anno precedente.

Sculley arrivò a lanciare un vero e proprio aut aut e il consiglio si schierò dalla sua parte.

Il 31 maggio 1985, in seguito a una riorganizzazione manageriale i poteri di Jobs vengono ridimensionati in maniera importante, al punto da sottrargli la carica di vicepresidente e quella di direttore generale della divisione Mac.

Racconta lui stesso: « Avevo appena compiuto 30 anni, quando sono stato licenziato. Come si può essere licenziati dall’azienda da te fondata? Beh, quando Apple era cresciuta, avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me. E per il primo anno le cose andarono bene. Ma poi le nostre visioni circa il futuro iniziarono a divergere e alla fine ci scontrammo. A questo punto, il Consiglio di Amministrazione si schierò dalla sua parte. A 30 anni ero fuori. E in modo plateale. Quello che era stato lobiettivo principale della mia vita era andato perduto e io ero distrutto

La Pixar, Toy Story e… l’amore

Jobs, improvvisamente pieno di delusione ma anche di tempo, decise di non indugiare nella prima e valorizzare il secondo. Iniziò a viaggiare, conoscere, riflettere. E nei cinque anni successivi non restò certo con le mani in mano.

Fondò prima la NeXT, poi la Pixar con cui creò “Toy Story”, il primo film di animazione digitale realizzato completamente in computer grafica 3D, al quale seguì “A Bug’s Life!”. Intanto, come racconta lui stesso, si innamorò “di una donna fantastica” che poi sarebbe divenuta sua moglie.

Ricorda, a tale proposito: «Apple ha poi comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia che abbiamo sviluppato a NeXT è al centro dell’attuale rinascita di Apple. Inoltre, Laurene e io abbiamo costruito una splendida famiglia. Sono alquanto certo che niente di tutto questo sarebbe accaduto se Apple non mi avesse licenziato.»

Le nuove grandi rivoluzioni: l’iMac, iPod, iPhone e… Apple Store

Jobs tornò anche per risollevare le sorti della sua vecchia società, al momento in fase di stallo. Assunse la carica di CEO a interim e negoziò un compenso simbolico pari a 1 dollaro l’anno. Legò la propria retribuzione reale a premi, proporzionati al raggiungimento di obiettivi ambiziosi.

A testimonianza dei risultati conseguiti poté esibire un jet privato dal valore di 90 milioni di dollari a conclusione dell’esercizio 1999 e circa 30 milioni in azioni nel biennio economico 2000-2002.

Negoziò uno storico accordo con la Microsoft, la rivale di sempre, al fine di definire i confini dell’azione dell’una e dell’altra e porre fine a interminabili contenziosi legali.
Ottenne di poter sviluppare applicativi compatibili con Microsoft Word ed Excel da far “girare” sui sistemi operativi Apple; di contro, si impegnò a rinunciare a decine di progetti embrionali di prodotto, puntando in maniera forte solo su quattro di essi.

Se nel 1997 Apple risultava in perdita di circa 1 miliardo e 40 milioni di dollari, un anno dopo poteva registrare un attivo di quasi 310 milioni.

Contestualmente, aprì il primo Apple Store, al secondo piano del Tyson Corner Center, in Virginia, destinato alla vendita dei soli prodotti Apple. Accolto con un certo scetticismo, registrò un successo clamoroso a tal punto che, dodici mesi dopo, gli Apple Stores in tutto il mondo diventarono ben 511.


Ma il bello doveva ancora arrivare. Perché se Apple sembrava essere destinata a un mercato di nicchia, Steve lanciò qualcosa in grado di rivoluzionare letteralmente il consumo di massa:

l’iMac, ovvero il primo personal computer all-in-one: con tutte le componenti all’interno del telaio del computer stesso.
l’iPod, ovvero il lettore digitale per l’ascolto della musica più venduto al mondo, con una quota di mercato superiore all’80%
l’iPhone, ovvero lo smartphone dallo schermo multi-tuch che segnò in maniera importantissima l’ingresso della Apple nel mondo della telefonia mobile.

La malattia e il discorso entrato nella storia: “Stay hungry, stay foolish”.

Nell’ottobre del 2003 gli venne diagnosticato un tumore al pancreas neuroendocrino, una delle forme – a quanto sostenuto da lui per primo – meno aggressive. Ne dà notizia al Consiglio d’Amministrazione della Apple e ai numerosi fan, circa nove mesi dopo. In quel lasso di tempo, rifiuta le cure tradizionali, ricorrendo alla medicina cosiddetta alternativa.

Prima di scomparire, consegnò ai ragazzi della Stanford University quello che viene considerato come il suo testamento ideale.

«Quando avevo 17 anni, lessi una citazione che diceva più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, un giorno constaterai che hai fatto bene”. Ciò mi colpì e da allora, nei 33 anni successivi, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, avrei voglia di fare quello che sono in procinto di fare oggi?”. E ogni volta che la risposta è stata no per troppi giorni di seguito, so che devo cambiare qualcosa.

Ricordarci che stiamo morendo è il modo migliore che io conosca per evitare la trappola di pensare che abbiamo sempre qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore

E concluse, infine, con il passaggio rimasto nell’immaginario collettivo:

«Quando ero giovane, c’era un incredibile periodico chiamato The Whole Earth Catalog. Era una delle bibbie della mia generazione. Creata da Stewart Brand.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono diversi numeri e, alla fine, un ultimo numero. Nell’ultima pagina di quell’ultimo numero c’era la fotografia di una strada di campagna ritratta appena dopo l’alba, quel tipo di strada sulla quale potreste trovarvi a fare l’autostop se siete persone abbastanza avventurose.

Sotto la foto c’erano le parole: “Stay Hungry. Stay Foolish” (Siate affamati, siate folli). Era il loro ultimo messaggio al momento del loro congedo giornalistico. Stay Hungry. Stay Foolish. E io me lo sono sempre augurato per me stesso. E ora lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish»

Un’ultima, frivola, geniale, curiosità

Steve Jobs guidava una Mercedes SL55 AMG priva di targa. Come faceva? Semplicissimo. In California, esiste una legge che consente ai proprietari di nuovi veicoli di circolare – nelle more di ricevere la targa e aver modo e tempo di montarla – senza esibirla. Pertanto, Steve – in accordo con una società di leasing – riceveva un nuovo esemplare di SL55 AMG ogni sei mesi.

Elementare, mio caro Jobs.