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Cesare Borgia, il nobile che ispirò il Principe di Machiavelli

Il 'Valentino', figlio illegittimo di papa Alessandro VI, fu un cardinale e un politico ambizioso e senza scrupoli, capace di colpire - soprattutto nella famosa Congiura della Magione - il noto scrittore fiorentino

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Ottenuta la porpora cardinalizia dal padre Rodrigo Borgia, nel frattempo divenuto pontefice, Cesare tornò allo stato laicale dopo la morte del fratello Giovanni. Sposò l’aristocratica Charlotte d’Albret, ottenendo il titolo di duca di Valentinois e creando di fatto una storica alleanza tra Stato pontificio e Francia. Alla guida dell’esercito transalpino conquistò il ducato di Milano, i territori della Romagna e invase il Regno di Napoli. Fu l’ascesa di papa Giulio II a segnare la fine del Valentino, una delle figure più controverse del Rinascimento italiano.

Chi era Cesare Borgia

Nacque nella rocca abbaziale di Subiaco il 13 settembre del 1475 dal cardinale valenciano Rodrigo Borgia, futuro papa Alessandro VI, e l’amante mantovana Giovanna Cattanei, detta Vannozza. Oltre a Cesare la coppia diede alla luce anche Giovanni, Lucrezia e Goffredo. Avviato dal potente genitore alla carriera ecclesiastica, ricevette una formazione culturale adatta alla sua futura carriera nella Chiesa: dopo gli studi umanistici, infatti, frequentò dal 1489 al 1491 l’Università di Perugia, prima di laurearsi in giurisprudenza presso il palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa e di essere nominato – il giorno prima del suo 16° compleanno – vescovo di Pamplona da papa Innocenzo VIII. In questi anni frequentò Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, ma la ‘svolta’ della sua vita fu l’elezione di suo padre a pontefice, l’11 agosto 1492. Così, il 20 settembre dell’anno seguente, ricevette la designazione a cardinale e, nel 1495, quella di governatore generale e legato di Orvieto. Tuttavia, dopo l’omicidio del fratello Giovanni, il 14 giugno 1497, ottenne il permesso da papà Rodrigo – il 17 settembre 1498 – di deporre la porpora cardinalizia e di dedicarsi alla carriera militare. Il 1° ottobre, poi, si recò in Francia al fine di sposarsi con la figlia ed erede presuntiva di Federico I di Napoli, Carlotta d’Aragona, ma la principessa rimase tutt’altro che affascinata dalle sue bardature dorate e dai cavalli ferrati d’argento e si rifiutò di sposarlo. Cesare, in un primo momento, non consegnò al re la bolla papale firmata da papà Rodrigo e riguardante l’annullamento del matrimonio con Giovanna di Valois, ma la situazione rientrò quando gli venne ‘data’ come consorte la nipote del sovrano, Charlotte d’Albret, che sposò il 12 maggio 1499 e da cui ebbe una figlia, Luisa (cui se ne aggiungono almeno altri undici da altre donne). Acquisendo il titolo di duca di Valentinois divenne per tutti il ‘Valentino’.

Cesare Borgia, i successi militari e la congiura

Nell’inverno del 1499 Cesare Borgia fu il luogotenente del re e con l’esercito francese scese in Italia, conquistando agevolmente il ducato di Milano. La campagna proseguì al di là del Po, in Romagna, in un territorio sotto il controllo dello Stato pontificio. Suo padre Rodrigo, papa Alessandro VI, tenuto informato della manovra, inviò ai signori di Pesaro, Imola, Forlì, Faenza, Urbino e Camerino una lettera in cui li dichiarava decaduti dai loro feudi, nell’intenzione di ‘donargli’ un principato. La questione non venne risolta pacificamente, ci furono piuttosto cruente battaglie e, a partire dal 21 novembre 1499, caddero una dopo l’altra Imola, Forlì, Cesena, Rimini e Faenza quindi, dopo il patto di d’amicizia con Firenze, fu il turno di Piombino. Nel 1501 i francesi invasero il Regno di Napoli e Cesare risolse l’assedio di Capua corrompendo un cittadino, che aprì le porte della città. Divenuto potentissimo, ma inviso anche a molti compagni, sottoposti ed alleati, scampò prima ad una congiura ordita da molti dei suoi più valorosi condottieri, poi fu sconfitto nella battaglia di Calmazzo da una lega di capitani di ventura e costretto ad abbandonare il ducato di Urbino. Nell’ottobre del 1502, poi, Vitellozzo Vitelli, che lo aveva affiancato in molte campagne nel Settentrione, si recò prima nel castello di Magione, dove complottò ai danni del Valentino con Giampaolo Baglioni, Paolo Orsini, Antonio Giordano (per conto di Pandolfo Petrucci di Siena), Oliverotto da Fermo e il duca di Gravina Francesco Orsini, poi – a Urbino – fece impiccare molti funzionari dello stesso e, infine, lo sconfisse nella battaglia di Calmazzo. Ciononostante, i congiurati si sottomisero alla richiesta di pace di Cesare. Il 31 dicembre 1502 Vitellozzo, Oliverotto e Francesco Orsini accettarono il suo invito a un banchetto a Senigallia, durante il quale vennero strangolati da Michelotto Corella. L’episodio, noto come la Strage di Senigallia, colpì Machiavelli al punto da dedicargli il trattato ‘Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini’ e parte del capitolo VII de ‘Il Principe’.

Cesare Borgia, gli ultimi anni e la morte

Diventato così ‘padrone’ della Romagna, Cesare – con l’aiuto del padre – si liberò di Gian Paolo Baglioni, aprendosi la strada per Siena, dove Pandolfo Petrucci si arrese senza combattere. Alessandro VI, nel frattempo, era in lotta contro gli Orsini, che marciarono su Roma e cercarono di deporlo con la forza. Il Valentino, allora, rientrò in Vaticano il 26 febbraio 1503 e – servendosi del prezioso contributo delle macchine da guerra inventate da Leonardo da Vinci – assediò i rivali a Ceri, conquistando la rocca in appena 38 giorni. Neanche il tempo di festeggiare, tuttavia, che Siena – appena presa – tornò in mano a Petrucci per volere del re di Francia. Mentre Cesare progettava un nuovo attacco alla città toscana, per puntare poi a Pisa, venne a mancare – il 18 agosto – il suo più grande sostegno: papà Rodrigo. Il duca di Valentinois, per giunta malato, non seppe gestire – né emotivamente, né soprattutto politicamente – la perdita del padre, ma fu per un breve periodo favorito dall’elezione di Pio III. La situazione mutò, già ad ottobre, con l’ascesa di Giulio II, proveniente dalla famiglia Della Rovere, acerrima nemica dei Borgia. Il nuovo pontefice gli tolse il governo della Romagna e ne ordinò arresto e reclusione a Castel Sant’Angelo, da dove evase, cercando invano rifugio a Napoli per organizzare da lì la riconquista dei suoi territori. Esiliato dal papa in Aragona, consegnato a re Ferdinando II e rinchiuso prima nel castello di Chinchilla, poi nel forte della Mota a Medina del Campo, riuscì nuovamente ad evadere nel 1506: nella fuga si fratturò diverse ossa perché, calandosi da una finestra a venti metri d’altezza, qualcuno tagliò la fune cui era legato. Si recò quindi in Navarra in quanto il re, nonché suo cognato, era alle prese con la ribellione guidata dal conte di Lerin. Gravemente infettato dal mal francese, Cesare trovò la morte la notte tra l’11 e il 12 marzo 1507 durante l’assedio di Viana, vittima di un’imboscata. Ignari della sua identità, gli avversari lo spogliarono completamente, lasciandolo a terra seminudo. Si racconta che il cadavere, rinvenuto il giorno dopo, venne trafitto ventitré volte a colpi di picca. Seguirono, invece, dei solenni funerali e la salma venne posta in un grande sepolcro nella chiesa di Santa Maria di Viana, per volere del sovrano. I suoi resti, tuttavia, furono ritenuti ‘indegni’ dall’inquisizione spagnola e nel XVII secolo e spostati nel patio della medesima chiesa, ma in una terra non consacrata e nei pressi di una discarica. Soltanto nel 1953 le autorità locali recuperarono le spoglie, le misero in un’urna e le tumularono nel sagrato di fronte alla porta principale della chiesa. Sulla lapida marmorea si legge: “Cesare Borgia, Generalissimo degli eserciti di Navarra e Pontifici, morto sui Campi di Viana l’11 marzo 1507“.