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Edward Hopper: vita e opere del pittore americano

Vuoto, solitudine, malinconia. Il realismo e la metafisica nelle opere di un vero e proprio enfant prodige della pittura americana. Vita e influenze nella produzione dell’artista che seppe dipingere il silenzio

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

L’America nel destino, l’Europa come curiosità

Edward nasce il 22 luglio 1882 a Nyack, una cittadina sul fiume Hudson. Tutto intorno a lui è affascinante e stimolante: l’ambiente, la gente. Hopper osserva il suo mondo con curiosità e avverte immediatamente l’istinto di rappresentarlo. Il suo interesse verso il disegno si manifesta in maniera evidente fin da piccolo; a soli 5 anni, i genitori, appartenenti alla borghesia angloamericana, ne colgono la particolarità e ne incoraggiano le abilità.

Se si vuole identificare un punto zero – in cui appare, se non maturo, già parecchio convincente nella sua attività artistica – lo si può collocare già alletà di 13 anni, quando dipinge il suo primo quadro, che ritrae una barca a remi. Si scorge, infatti, già un elemento che ricorrerà nel suo immaginario: l’interesse verso il mare, le barche e l’ampiezza degli spazi.

Nel 1899 frequenta un corso per corrispondenza presso la New York School of Illustrating e nel 1900 si iscrive alla New York School of Art. In questo periodo, dipinge ritratti e autoritratti in cui sperimenta luso della luce.
Segue Robert Henri, William Marritt Chase, Kenneth Hayes Miller. In particolare Henry – e la sua concezione di un’arte forte espressione della realtà di vita – lo influenza profondamente.

È il 1906 quando salpa alla volta dell’Europa e arriva a Parigi. Qui si avvicina alla pittura impressionista e ai poeti simbolisti, da cui rimane profondamente affascinato. Il suo punto di vista si arricchisce delle intuizioni d’oltreoceano che, una volta tornato in patria, faticano a essere colte e apprezzate.

La sua prima partecipazione a una esposizione collettiva non gli assicura il fervore della critica; pertanto, per mantenersi e continuare a dedicarsi liberamente alla propria arte nel modo a lui più congeniale, accetta un lavoro come illustratore per unagenzia pubblicitaria. Non lo ama, ma lo ritiene un “male necessario”.

Non smette di nutrire le proprie curiosità e intensifica i propri studi . Nel 1907, di nuovo in viaggio, visita Londra, Berlino e Bruxelles, nuovamente Parigi. Si immerge nel paesaggio, lo osserva, se ne lascia attraversare. Dipingere ogni cosa che lo circonda e lo colpisce.

In questo periodo, mentre nel mondo artistico si diffondono il cubismo e lastrattismo, Edward ribadisce la propria predilezione nei confronti dellimpressionismo.

È attraverso un viaggio in Spagna che Hopper potenzia la sua personale visione della luce che disegna gli spazi. Attraverso le ampie distanze, le ombre e le zone illuminate, delinea il percorso di anime sole e silenziose: consegna all’osservatore la sensazione di poterne cogliere i pensieri e le amarezze, tema centrale in tutta la sua futura produzione.

L’American way of life

Tornato a casa, Hopper decide di alzare lo sguardo e abbandonarsi non più alle ambientazioni che lo avevano ispirato in viaggio, bensì a uno stile più americano, prendendo spunto da soggetti legati alla vita quotidiana, come le strade di New York e le spiagge del New England.

Suggestiva e chiarificatrice, infatti, per lui, lestate del 1912 che trascorre in compagnia del pittore Leon Kroll a Gloucester, dove sono soliti ritrovarsi parecchi artisti americani. Qui conosce anche Josephine Verstille Nivison, allieva di Robert Henri che – anni dopo – diverrà la modella di tutte le sue opere.

Da questa sintesi tra i due continenti, in ogni caso, Hopper sviluppa il suo stile personalissimo.

L’anno successivo (nel 1913) partecipa al famoso Armory Show di New York – esposizione incentrata sulle suggestioni provenienti dalle avanguardie europee – con la sua opera Sailing. Il quadro piace e viene venduto per 250 dollari.

Ma è nel 1920 che viene organizzata la sua prima personale; presso il centro darte contemporanea più illustre di New York: il Whitney Studio Club. Alla mostra vengono esposti sedici dipinti. Incredibile ma vero, però, lartista non riesce ad attirare l’attenzione né del pubblico né della critica.
Nessun quadro venduto, nessuna recensione.

Il primo articolo monografico dedicato a Hopper, finalmente, è datato 1922; anno fortunato, in cui incontra nuovamente Josephine.
Tornato con lei a Gloucester, e su suo consiglio, riprende a dipingere ad acquarello, dopo un breve periodo in cui – a seguito della morte del padre – si era dedicato allincisione.

Partecipa ad una mostra al Brooklyn Museum all’interno del quale una delle opere resta stabilmente esposta, anche dopo l’esposizione. È a questo punto che si può individuare il momento della consacrazione: per lartista si intensificano finalmente mostre e recensioni entusiastiche da parte della critica.

La maturità

Nel 1924 Hopper e Josephine si sposano. È un momento molto felice per Edward che, lo stesso anno, espone alcuni acquerelli alla Rehn Gallery. La mostra segna la definitiva affermazione dellartista anche dal punto di vista commerciale: le opere vengono acquistate e a un prezzo congruo. L’artista può finalmente dire addio alla sua attività di illustratore, per dedicarsi interamente alla propria rappresentazione del reale.

Gli Hopper si dividono tra New York e Cape Cod. Proprio qui, dove sono soliti trascorrere i mesi estivi dell’anno, Edward trae ispirazione per molte delle sue celebri opere.
Ed è in questo periodo in cui si struttura il suo particolare stile pittorico. Ecco, allora i primi scorci delle case del New England, gli interni delle stanze, i forti contrasti di luce, i chiaroscuri.

Lartista venne riconosciuto – non soltanto negli States ma anche in Europa – come uno degli interpreti più emblematici del Realismo americano.

Il realismo americano

«Non dipingo ciò che vedo, ma ciò che provo», ebbe a dire Hopper della propria raffigurazione del reale. I soggetti dei suoi quadri, infatti, non si limitano a replicare la realtà circostante, ma si arricchiscono del sapore metafisico di ciò che impressiona lo sguardo e l’animo dell’artista.
Non “una fotografia”, dunque. O quantomeno non cronaca foto-giornalistica, bensì la rappresentazione anche sentimentale di ciò che è sotteso alla quotidianità americana; come una sorta di costante inquietudine e di più che accennata malinconia.

Le scene dipinte sono spesso svuotate. Come lo scheletro emotivo, essenziale dei luoghi stessi. Appaiono deserti e geometrici; abitati, nel caso, da personaggi silenziosi che non interagiscono tra loro.

È un forte senso di solitudine che emana dalle tele di Hopper. In cui l’unico suono che si avverte distintamente è quello del silenzio. Gli sguardi dei soggetti raffigurati corrono lontani, fino a spingersi oltre le tele stesse. Losservatore è chiamato a interrogarsi senza successo di fronte a ciò che non riesce a percepire.

In particolare, le donne dipinte nei suoi quadri sono spesso assorte nel vuoto o chissà dove. Impenetrabili e sole, appaiono in unattesa senza tempo destinata a non avere fine.

Le opere più affascinanti ed emblematiche

Sin dalle prime opera giovanili, è possibile individuare punti di vista, intuizioni e tematiche che attraversano tutta la sua produzione artistica, fino alla maturità:il realismo pittorico, la semplificazione dei soggetti architettonici, dei piani e dei colori della sua tavolozza.

Fin da subito le scene impresse su tela riflettono la solitudine e l’isolamento probabilmente tipico di una certa America e sicuramente eco interiore dello stesso artista.
Lo si avverte già in «Nudo che sale sul letto» (1903-1905), o in «Le bistro» (1909). In questultima, in primo piano a sinistra si notano un uomo e una donna seduti ad un tavolino, evidente omaggio allopera «lAssenzio» di Degas.

Tra il 1916 e il 1919 Hopper trascorre lestate nel Maine e approfondisce temi “architettonici”. Dipinge paesaggi, ponti, abitazioni. Lopera «Small Town Station» anticipa alcuni elementi della celebre «Casa vicino alla Ferrovia» (1925).
Se la realtà metaforica americana colpisce l’immaginario dell’artista, lo stesso si può dire in senso inverso. Nel film «Psycho», Alfred Hitchcock sceglie di ambientare gli omicidi in una casa del tutto simile a quella raffigurata da Hopper.

Nel 1926 dipinge «Undici di mattina» che rivela parecchie delle costanti ricorrenti nella sua opera: la luce, la donna, la cornice architettonica e geometrica della casa. La finestra aperta racconta un dialogo tra interno ed esterno che lartista ricerca e racconta in ogni sua tela. Anche in «Finestre di notte» (1928) la tenda agitata dal vento mette in relazione lo spazio interno e quello esterno.
Qui la composizione di Hopper si muove su tre finestre; attraverso la centrale, si intravede la figura di una donna di spalle. È probabile che anche l’artista – primo osservatore della scena – ponga se stesso all’interno di uno spazio chiuso, da cui usufruisce dello sguardo verso l’esterno e verso l’interno ancora.

Alfred Hitchcock, in «La finestra sul cortile», nel 1954 riprende lo stesso meccanismo visivo e metaforico.

Se l’elemento della luce è evidente nei suoi quadri, lo si sintetizza anche nel titolo che esprime l’attimo, il momento, lo scorcio temporale descritto. «Domenica mattina presto» (1930) è una delle opere più celebri del pittore americano.
La strada raffigurata nelle prime ore del giorno – e del tutto priva di figure umane – emana un senso di tranquillità. Protagonista indiscusso dell’opera, dunque, l’elemento architettonico in sé, senza distrazione di sorta.

Se l’elemento femminile è fortemente ricorrente, alle donne Hopper consegna questa profonda solitudine individuale che attraversa la sua produzione artistica.
Donne con lo sguardo lontano, rivolto verso uno spazio aperto quasi indefinito; oppure intente a leggere, come in «Scompartimento C, carrozza 293», (1938).

Tutte le figure solitarie dipinte appaiono del tutto incapaci di comunicare, anche quando più personaggi si trovano in un unico spazio.

Nel 1940 Hopper dipinge la famosa «Benzina», in cui sintetizza – non avendo trovato un soggetto reale che gli facesse da “modello” – ogni stazione di servizio che aveva incontrato.
Le pompe di benzina rosso accesso e linsegna della stazione sembrano minacciate dalla natura di fronte, che sembra reclamare lo spazio che le è stato sottratto. C’è ancora tanta America in questa tela divenuta, infatti, iconica.

La più iconica, però, probabilmente è «Nottambuli» (1942). La scena è ambientata in un ristorante notturno sullincrocio del Greenwich Village, a Manhattan.
La grande vetrata permette di vedere le persone che si trovano allinterno: il barman serve gli ultimi tre clienti, una coppia apparentemente muta, e un uomo solitario visto di spalle. Anche in questopera non c’è alcuna interazione tra i presenti. In tutto lambiente, sia quello interno del locale che quello esterno, regna, il silenzio.

Nei dipinti tra gli anni Quaranta e Cinquanta riemerge il tema della luce. Emblematici, come sempre, anche i titoli delle sue opere: «Sole di Mattina» (1952), «Una donna nel sole» (1961).

The end

Edward Hopper scompare nella sua casa-studio di New York nel 1967; ma le sue opere continuano a impressionare milioni di amanti dell’arte e a ispirare pittori, registi, architetti.