Salta al contenuto

Francisco Goya: vita e opere del pittore spagnolo

È stato definito “l’ultimo degli antichi maestri” e “il primo dei moderni”. Ecco, allora, le vicende, lo stile e i grandi temi dello straordinario artista non udente, che ha regalato capolavori come La maya desnuda, Il sonno della ragione genera mostri e le celebri Pitture Nere

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Tra Saragozza, Madrid, Roma… e ritorno

Francisco José de Goya y Lucientes nasce a Fuendetodos, nei pressi di Saragozza, nel 1746. La passione per l’arte, in particolare per la pittura, lo accompagna fin dall’adolescenza; pertanto, all’età di 17 anni, si trasferisce a Madrid per approfondire le arti figurative e mettersi alla prova all’interno di un ambiente culturale vivo e dinamico, ricco di influenze e commistioni.

Madrid, infatti, è una città ricca di fermenti, grazie all’illuminato regno di Carlo III di Spagna che ha richiamato artisti di grande nome, tra cui il neoclassico Anton Raphael Mengs, il rococò Giovan Battista Tiepolo. Si appassiona alle tele dell’italiano Corrado Giaquinto e tenta l’ammissione – purtroppo senza successo – all’Accademia di belle arti.

Senza perdersi d’animo, nella città madrilena Goya trascorre il tempo dipingendo, certo, ma anche frequentando allegre bettole e osterie. Ama bere, suonare, lanciarsi in accorate serenate al cospetto delle donne locali; non è infrequente che si trovi coinvolto in caotiche risse.

Nel 1766 fallisce anche il secondo tentativo di ingresso all’Accademia, mentre gli viene preferito Ramon Bayeu, fratello di Francisco (che nel 1767 verrà nominato pittore di camera del re).

Alla morte del Tiepolo – nel 1770 – Goya si trasferisce a Roma. Resterà in Italia per circa un anno, dipingendo con i pittori romani di Via Condotti e Piazza di Spagna e sviluppando un particolare gusto per i contrasti nell’uso del colore.

A Roma, Goya soggiorna presso il pittore polacco Taddeo Kuntz. Nell’Urbe conosce Giovan Battista Piranesi – noto incisore veneto – da cui rimane fortemente impressionato.

Viene a contatto anche con le opere di Hubert Robert, Johann Heinrich Füssli e con la pittura visionaria di Salvator Rosa che, rifiutando gli ideali estetici tipici dell’epoca neoclassica, anticipano le sensibilità romantiche. Resta incantato di fronte alle stanze di Raffaello, dalla volta di Palazzo Farnese; e ammira il Bernini, Reni, Guercino, Rubens.

Prima di dover tornare a Saragozza – a seguito dello sconsiderato rapimento di una ragazza di Trastevere, che la famiglia aveva rinchiuso in un convento – invia il suo “Annibale vincitore che rimira per la prima volta dalle Alpi l’Italia” all’illustre concorso tenuto all’Accademia di Parma, ottenendo una menzione speciale e il secondo posto.

Nel 1771, dunque, Goya torna di gran carriera a Saragozza e lavora su commissione ad alcuni affreschi per la Basilica del Pilar. Nel 1774 viene chiamato a Madrid per eseguire i cartoni per la fabbrica reale degli arazzi di Santa Barbara. La manifattura degli arazzi – svolta sino ad allora secondo l’iconografia fiamminga – viene invece realizzata attraverso lo stile locale.

I 63 cartoni prodotti valgono al Goya – nel 1786 – la nomina a pittore di corte dal nuovo re Carlo IV.

La maniera chiara

La versatilità di Goya, così come la sua evoluzione nel tempo, lo rende impossibile da comprimere all’interno di una corrente artistica definita e “definitiva”.

Questi risente, infatti, delle influenze dei numerosi incontri, che lo condannano a un eterno dualismo tra “sentimento e ragione”.

Ritenendo limitativo il perfezionismo tipico del neoclassicismo, infatti, si lancia verso la raffigurazione di scene quotidiane o, invece, del tutto immaginifiche. Il risultato è uno stile personalissimo, privo di schemi; ironico, potente, sorprendente nella propria libertà espressiva. Non è un caso che si ritenga il Goya come “il primo tra i moderni”, responsabile di una significativa apertura verso il Realismo e il Romanticismo.

A inizio anni Settanta, tornato dalla rocambolesca vicenda italiana, Francisco affresca la certosa di Aula Dei, nei pressi di Saragozza, con le Storie della Vergine, ritenute la massima espressione dell’opera dell’artista all’interno della tradizione assimilata.

Evidenti mutamenti stilistici si avvertono nel 1774, proprio quando Goya inizia a collaborare con la fabbrica reale degli arazzi di Santa Barbara: l’occasione ideale per sperimentare nuovi linguaggi creativi.

In tali opere, il Goya impiega uno stile vitale, moderno, pur nella sua sobrietà. Il tema degli arazzi è quello del «majismo» desunto dalle figure del popolo; che si distinguevano per i loro abiti elaborati e il loro comportamento sfacciato.

Degna di nota è anche l’indagine sulla luce condotta da Goya negli arazzi. Questa, infatti, disintegra letteralmente i volumi in particelle molecolari, definendo lo spazio e collocandovi gli oggetti, senza ricorrere all’uso della prospettiva.

La maniera scura

Nel 1792 Goya si ammala, probabilmente di sifilide o di un’intossicazione da piombo, rimanendo completamente sordo.

Il doloroso spartiacque personale dell’esistenza di Goya si somma allo sconvolgimento politico sofferto in questi anni dall’Europa, segnata dall’ascesa al trono di Carlo IV – uomo di rara incapacità – e dagli eventi legati alla Rivoluzione Francese e alla successiva epopea napoleonica.

Goya abbandona, dunque, i toni distesi della gioventù e giunge a uno stile onirico, visionario, rendendosi interprete della parte «nera» e dolorosa dell’esistenza umana.

Se in precedenza i suoi quadri apparivano luminosi e vivaci ora il pittore inizia a dipingere scene cupe, inquietanti. Ne sono un esempio eclatante i Cuadritos, undici quadri di piccolo formato rappresentanti scenari angoscianti quali naufragi, manicomi, incendi.

I Cuadritos anticipano i Capricci (1799): opere in cui Goya inizia ad abbandonare il freddo raziocinio illuminista a favore della raffigurazione delle istintuali e violente pulsioni dell’animo umano. L’artista – in più di 80 incisioni – si concede una ironica critica alla società del momento. La straordinaria opera Il sonno della ragione genera mostri – così come le altre dell’intera serie – viene giudicata blasfema dall’inquisizione e, pertanto, ritirata.

Nello stesso anno, Goya ottiene il prestigioso incarico di Primer Pintor de Cámera e nel 1801 realizza il ritratto del primo ministro Manuel Godoy, a celebrazione della vittoria sul Portogallo e della conquista del titolo di Generalissimo.

Al medesimo periodo appartengono anche le note Maja vestida e desnuda.

La guerra

Con la salita al trono di Spagna di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, il Paese si trova in una condizione economica e politica disastrosa.

La (inevitabile) Guerra d’indipendenza significa il ritorno del re Ferdinando VII.

Sono proprio tali eventi violenti a ferire l’immaginario di Francisco Goya che – rimasto a Madrid per denunciare le violenze dell’esercito napoleonico – dipinge quadri come Il colosso, Il 2 maggio 1808, Il 3 maggio 1808 e realizza la serie di incisioni “I disastri della guerra”, raccontando la violenza e la barbarie del periodo della Guerra di Indipendenza.

Le Pitture Nere

Il ritorno sul trono di Ferdinando VII apre un periodo assolutista che rende impossibile la permanenza di Goya a corte. Si trasferisce, dunque, in una casa nella periferia di Madrid conosciuta come la Quinta del Sordo.

Qui lavora alle Pitture nere – tra cui il celebre Saturno che divora i suoi figli, successivamente trasferito su tela – in cui la visione pessimistica dell’uomo sfocia nel cosmico trionfo del male, mentre la sostanziale incapacità umana di intervenire sull’esito del proprio fato non può che riservargli esiti tragici.

Goya, infatti, sintetizza eros e thanatos come ineludibili aspetti dell’esistenza. L’artista è attratto magneticamente sia dalla natura pietosa che da quella malvagia dell’essere umano.

Dopo aver realizzato le pitture nere, Goya si trasferisce a Bordeaux per sfuggire alla persecuzione di Ferdinando VII. Soggiorna anche a Parigi, per riuscire a dedicarsi il più possibile in autonomia alla propria attività artistica.

Scompare all’età di 82 anni nel 1828, a seguito di un ictus che lo paralizza e, dopo poco, lo spegne.