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Salvador Dalì, vita e opere dell’artista spagnolo

È una delle figure più importanti ed eccentriche della storia dell’arte. Noto a livello mondiale per le sue opere surrealiste, dipinse più di 1500 quadri e si interessò anche di moda, cinema e fotografia

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Creatività travolgente e personalità eccentrica, Salvador Dalì è considerato il principale esponente della corrente del Surrealismo, che ha portato a nuove vette, combinando nelle sue opere elementi fantastici, visioni oniriche e simboli enigmatici. Autore di più di 1500 quadri, scultore, scrittore, fotografo, cineasta, designer e sceneggiatore, lo spagnolo è tra i più innovativi e influenti artisti del Novecento, nonché uno dei personaggi più eclettici di tutti i tempi.

Baffi lunghi e sottili, ispirati a quelli del maestro del ‘600 spagnolo Diego Velazquez, abiti di velluto e colori sgargianti con ricami in oro, Salvador Dalì fece della propria vita la più surrealista delle sue opere, esplorando le frontiere della creatività e della libertà espressiva e raccontando già dall’aspetto il suo immaginario onirico, ovattato, surreale.

“Ogni mattina, al risveglio, provo un piacere supremo, il piacere di essere Salvador Dalì”

La surrealista vita di Dalì

Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalì ì Domenech nasce l’11 maggio 1904 a Figueres, una pittoresca cittadina nella provincia catalana di Girona, non lontano dal confine con la Francia. La sua è una famiglia borghese benestante, il padre, avvocato e notaio, è un uomo rigido e maniacale nel suo lavoro, la madre si occupa della casa ed entrambi sono segnati dalla prematura scomparsa del primogenito per una meningite, Salvador, del quale non erediterà solo il nome quando verrà alla luce un anno più tardi, ma anche la convinzione, inculcatagli dai genitori, di essere la reincarnazione del fratello defunto, sulla cui tomba viene spesso portato a pregare. Un’esperienza che lo segnerà profondamente nella psiche.

Il piccolo Salvador trascorre la sua infanzia nel villaggio costiero di Cadaques, dove i genitori costruiscono il suo primo studio e mostra sin da piccolo una straordinaria abilità nel disegno e un vivo interesse per l’arte. Nel 1919, quando non ha ancora 16 anni, il padre organizza la sua prima mostra, esponendo i suoi schizzi a carboncino presso il Teatro Municipale di Figueres. Due anni dopo, la madre muore a causa di un tumore e anche questo evento assume un’importanza fondamentale nella vita dell’artista, come da lui stesso raccontato nella sua autobiografia “La vita segreta di Salvador Dalì”.

L’espulsione dall’Accademia

Dal 1921 al 1925 frequenta l’Accademia Reale di belle arti San Fernando di Madrid, dove stringe amicizia con Federico Garcia Lorca e il cineasta Luis Bunuel. Sono gli anni in cui si evidenzia il suo carattere sopra le righe, è una figura carismatica e particolare, con il vezzo di assumere atteggiamenti stravaganti. Anche il suo aspetto è bizzarro: basette e capelli lunghi, pantaloni alla zuava e larghe giacche, un look dandy, simile a quello degli esteti britannici di fine Ottocento. Tuttavia, ad attirare l’attenzione sono i suoi dipinti, all’epoca ispirati al cubismo e al dadaismo. Il suo percorso di studi, però, non si completa: nel 1924 viene arrestato con l’accusa di aver fomentato una rivolta all’interno dell’Accademia e nel 1926 viene espulso perché si rifiuta di sostenere l’esame finale, accusando la commissione di non essere abbastanza competente per giudicare un genio come lui.

Parigi ombelico del mondo Dalì

Dopo la rottura con il padre, furibondo per la decisione di abbandonare gli studi del figlio, Salvador Dalì lascia Madrid e si trasferisce a Parigi, dove la fa conoscenza di Picasso, che ammirava da tempo e che aveva già sentito parlare di questo giovane artista da Mirò, che ne aveva ammirato le opere a Galleria Dalmau, a Barcellona. Tornerà nella capitale francese nel 1929 con l’amico Bunuel, con il quale collaborerà per realizzare il capolavoro del cinema surrealista “Un chien andalou”. È in quel periodo che Mirò lo introduce nel gruppo dei surrealisti di Montparnasse rappresentato da André Breton e conosce Elena Ivanovna Diakonova, conosciuta anche come Gala, all’epoca moglie del poeta e amico Paul Eluard, della quale si innamora perdutamente, eleggendola a sua musa ispiratrice e sposandola, civilmente nel 1934 e con rito religioso nel 1958, per passare con lei il resto della vita. Dopo la rottura definitiva con il padre, che non apprezzava la svolta surrealista e la relazione con una donna russa, più grande di undici anni e per giunta già madre di una bambina, Salvador Dalì e Gala si trasferiscono a Port Lligat, in un capanno prima affittato e poi acquistato e ingrandito, un luogo che diventerà carissimo al pittore, che lo inserirà in diversi suoi dipinti.

“Il surrealismo sono io”

Sono questi anche gli anni in cui Dalì si interessa alle teorie psicanalitiche di Freud e mette a punto il suo metodo “paranoico critico” per esplorare il subconscio e salendo alla ribalta come icona surrealista. Sposa la sua Gala e vola negli Stati Uniti dove partecipa a diverse feste, attirando l’attenzione e la curiosità dei frequentatori delle gallerie d’arte d’oltreoceano, primo fra tutti il celebre mercante d’arte di New York, Julian Levy. Tornato in Europa si rifiuta di lasciare la Spagna nonostante l’avvento del Franchismo e si tiene alla larga dalla politica, suscitando la ribellione dei surrealisti di Montparnasse, che lo escludono dal movimento artistico al termine di un cruento processo-interrogatorio in cui Breton arriva ad accusarlo di adesione al nazifascismo. Un’espulsione che non farà un baffo… a Dalì che la commenterà così: “Il surrealismo sono io”. La sua attività infatti non ne risente affatto, anche grazie al mecenatismo del ricchissimo Edward James, che acquistò diverse sue opere e che di Dalì diverrà amico al punto che l’artista ne inserirà il volto ritratto nel suo “Cigni che riflettono elefanti”.

“L’unica differenza tra me e un pazzo è che io non sono pazzo, la differenza tra me e i surrealisti sta nel fatto che io surrealista lo sono davvero”.

“Ava Dollars”

Nel 1940, con l’inasprirsi della Seconda Guerra Mondiale, Dalì lascia l’Europa per fuggire con Gala a New York, prima di stabilirsi a Pepple Beach, in California. Negli Stati Uniti l’artista viene accolto come una star: collabora con Hitchcock per il film “Io ti salverò”, disegna gioielli, complementi d’arredo, come il Telefono Aragosta, mobili, come il Divano a forma di Bocca di Mae West, e il logo per il lecca-lecca Chupa Chups. Breton lo soprannomina sprezzantemente “Ava Dollars”, anagramma di Salvador Dalì che significa “bramoso di dollari”, criticandone la commercializzazione della sua arte, ma la fama dell’artista è ormai planetaria.

L’ultimo Dalì

Nel 1951 Dalì e Gala fanno ritorno in Catalogna e per il pittore inizia una nuova fase di sperimentazione che riscuote subito grande interesse, tanto che Andy Warhol la indicherà come una delle principali influenze della Pop Art. Dal 1960 Dalì si dedica quasi esclusivamente alla realizzazione del teatro-museo dedicato a se stesso e terminato nel 1974. Nel 1980 Gala, affetta da un principio di demenza senile, gli somministra per errore un micidiale cocktail di farmaci che gli procura conseguenze tali da costringerlo ad abbandonare per sempre la pittura a causa dell’incontrollabile tremore alla mano destra. Nel 1982 muore Gala e per Dalì è l’inizio della fine: cade in depressione, tenta senza successo il suicidio in due occasioni e si spegne il 23 gennaio del 1989 per un attacco di cuore, mentre ascolta Tristano e Isotta, la sua opera preferita. Riposa nel Teatro-Museo Salvador Dalì di Figueres.

Le opere di Salvador Dalì

Salvador Dalì ha percorso il Novecento quasi per intero, lasciando tracce indelebili, che sono diventate vere e proprie icone del secolo “in bianco e nero”. Dipinse più di 1500 quadri, realizzò dipinti, illustrazioni, litografie, incisioni, acquerelli, scenografie, olografie e sculture e si interessò anche di moda, di fotografia e di cinema.

Partito dal cubismo per arrivare successivamente al dadaismo, Dalì divenne la figura di spicco del surrealismo, che seppe incarnare meglio di tutti attraverso quello che chiamò il metodo “paranoico-critico”, tramite il quale esplorava gli aspetti più reconditi dell’inconscio, dando forma elementi onirici e tabù e adottando il simbolismo come tratto distintivo della sua pittura. Le sue opere oscillano su una linea sottile tra la realtà e il mondo dei sogni generato dalla confusione e dalla creatività, così l’orologio rappresenta la relatività del tempo, l’uovo simboleggia la speranza e l’amore, gli elefanti dalle gambe sottilissime l’instabilità e la precarietà.

L’ultima parte della produzione di Dalì fu invece fortemente influenzata da Hiroshima e lo scoppio della bomba atomica, che lo portarono a una fase che l’autore descrisse con il termine di “misticismo nucleare”. Le sue opere svoltano sul tema religioso e tra queste “La Madonna di Port-Lligat”, che Dalì donerà a Pio XII in occasione dell’incontro con il Pontefice. Dalì viene attratto dalla geometria divina e in particolare dall’ipercubo, protagonista del suo dipinto “Crocifissione”.

La persistenza della memoria

Dipinta nel 1931 e conservata al Moma di New York, la piccola tela è l’opera che apre la strada del successo a Dalì ed è il frutto di un banale episodio di vita quotidiana, che ispira il pittore a tal punto da chiamare in causa la teoria della relatività di Einstein. Una calda sera d’estate, Dalì prepara una cena a base di formaggio Camembert da gustare con Gala, che tarda ad arrivare; lui l’aspetta e lei continua a tardare, mentre il formaggio inizia a sciogliersi e a colare. Così gli orologi rappresentati nel quadro molli e privi di vitalità sono il simbolo dell’attesa infinita, in cui tutto è fermo e sospeso, il volto antropomorfo parzialmente ritratto è quello dell’autore, immobilizzato in una fase di metamorfosi ed evoluzione, il ramo secco rappresenta l’infertilità dell’attesa, mentre sullo sfondo si staglia il paesaggio di Port-Lligat tanto caro a Dalì e palcoscenico perfetto per presentare deliri e ossessioni.

Giraffa in Fiamme

In questa sua opera, Dalì ripropone uno dei suoi temi dominanti, quello del corpo umano rappresentato con dei cassetti. Il riferimento a Freud è evidente e viene così spiegato dall’autore: “Il corpo umano oggi è pieno di cassetti segreti, che solo la psicoanalisi è in grado di aprire”. Allo stesso modo, questi cassetti sono pieni di tabù e paranoie, che solo l’artista può aprire per frugarci dentro. L’opera raffigura in primo piano due manichini sorretti da stampelle, la più grande ha dei cassetti aperti lungo il corpo, che si aprono, vuoti, mentre sullo sfondo una giraffa è avvolta dalle fiamme. L’opera è premonitrice della guerra civile spagnola e simboleggia la violenza, la distruzione e la morte.

Idillio atomico uranico e melanconico

È presente il riferimento a Hiroshima e allo sgancio della bomba atomica, frutto di uno studio molto attento delle parti che costituiscono la materia. Nell’opera, Dalì ripercorre il profilo della Venere di Botticelli in un volto con occhi, naso e bocca delineati da un aereo. L’orologio squagliato rappresenta il tempo che si arresta durante il bombardamento, in alto a destra una figura molle simboleggia l’artista in lacrime. Ci sono anche dei giocatori di baseball e il lancio della pallina diventa per Dalì emblema del movimento degli atomi, degli elettroni e della materia che continua a girare.