Verbi attivi e passivi Fonte foto: 123RF
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Forma attiva e passiva dei verbi: come si fa?

Regole base di grammatica italiana: come riconoscere e trasformare verbi in forma attiva e passiva

Luca Incoronato

Luca Incoronato

GIORNALISTA PUBBLICISTA E COPYWRITER

Giornalista pubblicista ed esperto Copywriter, amante della scrittura in tutti i suoi aspetti. Curioso per natura, adoro scoprire cose nuove e sperimentarle in prima persona. Non mi fermo mai alle apparenze, così come alla prima risposta, nel lavoro come nella vita.

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La lingua italiana può riservare molti ostacoli, sia in giovane età che nella fase adulta della nostra vita. Non è infatti insolito che, pur avendo abbandonato la scuola da tempo, si riscontrino problemi seri nell’utilizzare correttamente le regole grammaticali.

Ciò dipende da una mancanza d’attenzione in classe o, nella maggior parte dei casi, dall’uso sempre più frequente dell’italiano parlato e non scritto. In questo il web ha un peso, considerando i correttori automatici oggi disponibili tra smartphone e computer.

Rendersi conto dei propri errori è sempre più complesso e, col tempo, ci si dimentica delle regole di base, come la forma attiva e passiva dei verbi, che molti non sanno rendere in maniera corretta. Di seguito spiegheremo come riconoscere le due tipologie e, ovviamente, in quale maniera renderle.

Come riconoscere forma attiva e passiva dei verbi

Iniziare con alcuni esempi, al fine di prendere confidenza con il concetto di forma passiva e attiva dei verbi. La regola base da seguire è la seguente: se il soggetto compie l’azione, il verbo è in forma attiva, se il soggetto subisce l’azione, il verbo è in forma passiva.

Nel primo caso vedremo proposizioni di questo genere:

  • Lo studente legge il libro
  • I genitori cucinano la cena
  • La mamma guida la macchina

Nel secondo caso, invece, si potrebbero porre i seguenti esempi:

  • I bambini sono puniti dai genitori
  • Il barbiere è stato pagato dal cliente
  • Il gatto è inseguito dal cane

Vi sono però delle norme da ricordare, come quella dei sì passivante. In questo caso ci rivolgiamo unicamente alla terza persona singolare e plurale, con la forma passiva di un verbo che può essere formata con l’aggiunta della particella "si" posta subito prima del verbo in forma attiva: "Andrea si prese una cotta". Altri elementi da ricordare riguardano la distinzione tra verbi transitivi e intransitivi, in relazione alla forma attiva e passiva. Nel caso dei verbi transitivi, infatti, entrambe le forme sono possibili, mentre per i verbi intransitivi non si ha altro che la forma passiva. Questo ci porta però a chiederci la differenza tra queste due tipologie di verbi.

Verbi transitivi e intransitivi: cosa sono

La definizione di verbo transitivo è la seguente: si tratta di un verbo che indica il passaggio dell’azione direttamente dal soggetto che la compie all’oggetto che la riceve o subisce. Ciò vuol dire che ammettono, ovviamente, il complemento oggetto.

Si parla invece di verbo intransitivo quando l’azione non passa direttamente dal soggetto all’oggetto, ma si esaurisce nell’elemento che la compie o, in alternativa, passa a un differente elemento della frase, costituito da un complemento indiretto. Per tale motivo, è facile capirlo, non viene ammesso il complemento oggetto.

Il classico consiglio che viene dato a scuola è molto semplice. Per stabilire se un verbo sia transitivo o intransitivo occorre controllare se dopo sia possibile porsi le domande "chi?" o "che cosa?". Ciò consente di assicurarsi se vi sia o meno il complemento oggetto. Proviamo a fare un semplice esempio:

  • Andrea mangia la pasta: in questo caso dopo il verbo è possibile chiedersi "che cosa", il che offre il complemento oggetto e ci dice che il verbo è transitivo;
  • Andrea ride: l’azione del verbo si esaurisce in questo caso nel soggetto che la compie e non vi è alcun bisogno di un complemento oggetto, al massimo di un complemento indiretto che offra maggiori spiegazioni.

Come trasformare i verbi attivi e passivi

Volendo semplificare il concetto, potremmo dire che la trasformazione di un verbo dalla forma attiva a passiva, o viceversa, prevede il capovolgimento figurativo del senso della frase in questione. Passando da attivo a passivo, ad esempio, il soggetto non è più tale ma può essere identificato come complemento d’agente, preceduto dalla preposizione da.

Per quanto riguarda il verbo, invece, in forma passiva viene preceduto dall’ausiliare essere. Qual è, dunque, l’elemento della frase che ne diventa di colpo il soggetto? La risposta è il complemento oggetto.

Gli elementi da ricordare in questa fase di trasformazione sono i seguenti:

  • sia il tempo che il modo del verbo trasformato devono restare nella forma passiva
  • il verbo deve presentare una concordanza con il nuovo soggetto della frase
  • il complemento d’agente deve essere sempre preceduto dalla preposizione da

Per spiegare le regole grammaticali non c’è nulla di meglio che un po’ di esempi pratici, così da facilitarne lo studio. Per questo motivo di seguito troverete delle esecuzioni di questo tipo di esercizio basico per la nostra lingua.

"Claudio ha dipinto un quadro" è un esempio basico di frase con forma verbale attiva. Vi sono infatti un soggetto, un predicato e un complemento oggetto, nello specifico a compiere l’azione è Claudio e il gesto svolto è quello di dipingere. È possibile in questo caso chiedersi che cosa, il che apre le porte all’oggetto che subisce l’azione, ovvero il quadro.

Differente invece il discorso con la frase "Il quadro è dipinto da Claudio", che si presenta al lettore in forma passiva, con quello che prima era il soggetto che si è trasformato in complemento d’agente, rispondendo alla domanda: da chi è stato dipinto il quadro. Notiamo come vi sia l’ausiliare essere e soprattutto come la frase inizi con quello che nell’altra forma era il complemento oggetto, ora soggetto.

Il senso della preposizione non cambia in alcun modo, esprimendo lo stesso concetto ma in maniera differente a seconda della forma scelta. In sintesi un verbo è in forma attiva se la costruzione prevede che il soggetto compia l’azione che viene espressa. Il verbo è in forma passiva, invece, se il soggetto subisce l’azione.

Volendo cimentarsi in un accenno di analisi logica, chi compie l’azione viene identificato come agente, che è complemento d’agente nel caso di un essere umano, e complemento di causa efficiente nel caso di una cosa.

Verbi italiani: tempi, modi e non solo

Come detto, più ci si allontana cronologicamente dal periodo scolastico, più si perdono di vista determinati automatismi in ambito di scrittura e parlato. Proviamo, quindi, a dare uno sguardo d’insieme al mondo dei verbi. Una panoramica per riuscire ad avere chiara la formazione delle frasi che quotidianamente creiamo.

Ricordiamo come esistano tre coniugazioni dei verbi, la prima relativa a quelli che terminano in -are, la seconda a quelli che terminano in -ere e la terza legata a quelli che terminano in -ire (parlare, leggere, dormire). Vi sono però delle eccezioni, come spesso accade nella grammatica italiana. Alcuni verbi non terminano in nessuno di questi tre modi. Parliamo ad esempio di tradurre, inserito nella prima coniugazione.

Come già spiegato, vi sono diverse forme di verbi, come attiva e passiva. Nel primo caso è il soggetto a compiere l’azione espressa, mentre nel secondo è colui che la subisce. Abbiamo poi la forma riflessiva dei verbi, con l’azione che viene espressa che è quella inerente il soggetto che la svolge. Infine si aggiunge la forma impersonale, che non specifica il soggetto che sta agendo.

Un modo semplice pe spiegare le differenze tra verbi transitivi e intransitivi consiste nel porre l’accento sul complemento oggetto. Alcuni verbi possono averlo e altri no. I verbi transitivi contemplano tale presenza e i verbi intransitivi non ne prevedono l’uso. In questo non vi è quindi un passaggio diretto, con l’azione che si esaurisce col soggetto o fa riferimento a un elemento altro.

La lingua italiana vanta sette modi verbali, suddivisi in finiti e infiniti, che riportiamo ed esplichiamo di seguito:

  • modi finiti: indicativo, congiuntivo, condizionale e imperativo, sfruttati per indicare il soggetto che ha compiuto una data azione;
  • modi infiniti: infinito, participio e gerundio, che non indicano il soggetto che compie una data azione.

Quando invece parliamo di tempi di verbi, facciamo riferimento a un aspetto utile a indicare in quale collocazione temporale si pone una determinata azione espressa. I tempi si suddividono a loro volta in semplici e composti:

  • tempi semplici: nella forma attiva sono composti da un’unica parola, mentre nella forma passiva vantano l’ausiliare essere, anteposto, espresso al participio passato;
  • tempi composti: nella forma attiva presentano i verbi essere e avere anteposti al participio passato del verbo che seguono. Nella forma passiva, invece, vi è il verbo essere, più "stato" e il participio passato del verbo.

Grammatica italiana: errori comuni

Sono tanti gli errori grammaticali che vengono commessi tutti i giorni, soprattutto quando ci si ritrova a scrivere sui social o in chat privata tra amici e parenti:

  • qual è o qual’è: nessun dubbio o formula strana, l’apostrofo non serve mai;
  • congiuntivo: trasformare il congiuntivo in presente è un’operazione molto comune nel parlato, anche a causa degli esempi forniti dalla televisione. L’uso del congiuntivo dipende dal verbo nella frase principale. Si usa con i verbi che esprimono un ordine, permesso, desiderio, dubbio o una domanda. Lo stesso dicasi con il lei di cortesia (La prego, mi faccia questo favore), con congiunzioni subordinanti (sebbene, affinché, a meno che, prima che), con espressioni impersonali (bisogna che, è necessario che), con aggettivi o pronomi indefiniti (qualunque, ovunque, dovunque);
  • gli e le: in questo caso basta un esempio, gli ho detto che è molto intelligente / le ho detto che è molto intelligente;
  • ne o né: l’accentazione cade soltanto in caso di negazione, dunque Non voglio né questo né quello;
  • un po, un pò, un po’: non è possibile utilizzare questa formula alla prima maniera ed è grave l’errore che solitamente viene commesso di porre l’accento. La formula corretta prevede l’uso dell’apostrofo, perché deriva dal troncamento della parola poco.