
Lavoro dopo la scuola: come sono i lavoratori italiani oggi
Come sono oggi i lavoratori: un report li descrive poco coinvolti nelle dinamiche aziendali e inclini a tristezza e solitudine sul posto di lavoro
Molti giovani si chiedono come sarà il lavoro dopo la scuola: la questione non è solo trovare un’occupazione in linea con le proprie esigenze, i propri talenti e il percorso scolastico effettuato. Si parla sempre più spesso di qualità e benessere della vita lavorativa: come sono i lavoratori italiani oggi? Sono soddisfatti di quello che fanno, delle opportunità che hanno e del luogo di lavoro in cui operano tutti i giorni oppure no? La situazione è in linea con gli altri Paesi europei o meno? Questo e altro è stato oggetto di analisi di una ricerca dedicata proprio al mondo del lavoro.
Come sono oggi i lavoratori italiani
Ogni anno il report State of the Global Workplace 2025 di Gallup dà uno sguardo alla situazione lavorativa in ogni angolo del mondo, per avere un’idea di come questa viene percepita dai dipendenti e dai manager. I parametri presi come riferimento sono molti, dal benessere sul posto di lavoro alla soddisfazione professionale, ad esempio.
Secondo i dati raccolti per l’inchiesta del 2025 (che fanno riferimento alla situazione lavorativa nel 2024 in 160 Paesi del mondo), il coinvolgimento dei dipendenti a livello globale è sceso al 21%. In particolare è la categoria dei manager a risentirne di più.
Per quello che riguarda la situazione in Italia, il bel Paese è tra gli ultimi nella classifica del coinvolgimento (siamo anche ultimi in Europa per livelli di occupazione): solo il 10% si sente coinvolto nella vita dell’azienda per cui lavora. Come noi Belgio e Regno Unito, mentre nei primi posti della classifica troviamo la Romania, l’Albania e il Kosovo.
L’Italia è al quinto posto tra i Paesi Europei anche per quello che riguarda lo stress percepito sul luogo di lavoro: questa sensazione è provata dal 49% degli intervistati. Dopo di noi solo Cipro, Grecia e Malta. I Paesi, invece, che la sperimentano di meno sono Danimarca, Polonia e Lituania. Il 21% dei lavoratori italiani, poi, lamenta anche la tristezza che prova ogni giorno al lavoro, mentre il 13% la solitudine. La rabbia raggiunge una percentuale del 9%.
La questione dei salari in Italia
Non va meglio la situazione quando si parla dei salari: sono pochi i Paesi che hanno una situazione peggiore della nostra. Secondo il Rapporto mondiale sui salari 2025-26, dell’ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, dal 2008 nel nostro Paese è stato perso l’8,7% del potere d’acquisto. Siamo la maglia nera tra i Paesi del G20. Un’altra ricerca aveva invece svelato che dal 2019 a perdere di più a livello di stipendio sono stati gli insegnanti italiani.
Proprio a causa di tale situazione, la povertà lavorativa è una realtà sempre più presente, come emerso dai dati presentati da Eurostat. Nel 2024 il rischio di povertà in Italia è arrivato al 18,9%, stabile rispetto ai dati del 2023, ma in aumento per chi lavora, anche in caso di contratto a tempo pieno.
Gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale (al netto dei trasferimenti sociali) sono infatti passati dal 9,9% al 10,2% nel totale. Per quello che riguarda i lavoratori a tempo pieno, dall’8,7% al 9%. Quasi il 52% dei lavoratori che in Italia hanno un salario basso è di sesso femminile.
Il problema della fuga dei cervelli all’estero
Non stupisce, dunque, che la fuga dei cervelli in Italia sia un fenomeno sempre più importante. Ad aprile 2025 l’audizione del presidente Istat Francesco Chelli alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla transizione demografica ha spiegato bene la situazione.
Nel decennio 2013-2022, “sono costantemente aumentati i giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza; molto meno numerosi sono stati invece i rientri in patria. In tale periodo, di oltre un milione di cittadini espatriati, un terzo (352mila) aveva un’età compresa tra i 25 e i 34 anni e, tra questi, oltre 132mila (37,7%) erano in possesso della laurea al momento della partenza”, questo si legge nel testo ufficiale.
I rimpatri di giovani in quest’ultima fascia d’età “sono stati circa 104mila, di cui oltre 45mila laureati: la differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani laureati è costantemente negativa e restituisce una perdita complessiva per l’intero periodo di oltre 87mila giovani laureati”.