Canto XIV Inferno di Dante: struttura e analisi
Il Canto XIV dell’inferno di Dante Alighieri ci conduce nel terzo girone del settimo cerchio, dove sono puniti i violenti contro Dio, la Natura e l’Arte. In questo scenario desolato, caratterizzato da un vasto deserto infuocato, si incontrano figure emblematiche come Capaneo e si svelano miti fondamentali come quello del Veglio di Creta, che spiegano l’origine dei fiumi infernali.
- Canto 14 dell'Inferno: riassunto
- L'analisi del canto
- Le figure retoriche principali
- Il contrappasso dei violenti contro Dio, Natura e Arte
- Il mito del Veglio di Creta e l'origine dei fiumi infernali
- Il significato della sfida di Capaneo
Canto 14 dell’Inferno: riassunto
Dopo aver lasciato la selva dei suicidi, Dante e Virgilio giungono in una landa desolata, un vasto deserto di sabbia rovente su cui cade una pioggia di fuoco. Questo luogo è il terzo girone del settimo cerchio, destinato ai violenti contro Dio, la Natura e l’Arte. I dannati sono suddivisi in tre categorie:
- Bestemmiatori: giacciono supini sulla sabbia, subendo la pioggia di fuoco senza possibilità di difesa.
- Sodomiti: camminano incessantemente sotto la pioggia infuocata.
- Usurai: sono seduti, con borse al collo che indicano il loro peccato.
Tra i bestemmiatori, Dante nota una figura imponente e fiera: Capaneo, uno dei sette re che assediarono Tebe. Nonostante la pena, Capaneo continua a sfidare Dio con arroganza, mostrando un’ostinazione che rende la sua punizione ancora più severa.
Proseguendo, Dante e Virgilio osservano un ruscello di sangue bollente che scorre attraverso il deserto. Virgilio spiega che si tratta del Flegetonte, uno dei fiumi infernali, e narra il mito del Veglio di Creta: una statua gigantesca situata nel monte Ida, composta da vari metalli che rappresentano le età dell’uomo. Le sue lacrime, simbolo della corruzione e del dolore umano, formano i fiumi dell’Inferno.
I temi principali del canto includono la ribellione contro il divino, rappresentata da Capaneo, e la caducità dell’umanità, simboleggiata dal Veglio di Creta. La descrizione del paesaggio infernale sottolinea la desolazione e la sofferenza eterna riservata a chi ha commesso violenze contro i principi fondamentali dell’esistenza.
L’analisi del canto
Il canto si apre con la descrizione del paesaggio infernale, un deserto di sabbia infuocata su cui piove fuoco, creando un’atmosfera di desolazione e tormento. Questa ambientazione riflette la gravità dei peccati puniti in questo girone.
La figura di Capaneo rappresenta l’arroganza e la sfida continua al divino. Nonostante la punizione, egli mantiene un atteggiamento di disprezzo verso Dio, incarnando l’orgoglio umano che rifiuta di sottomettersi. La sua presenza nel canto sottolinea la tematica della ribellione e dell’ostinazione peccaminosa.
Il mito del Veglio di Creta offre una spiegazione allegorica sull’origine dei fiumi infernali. La statua, con la sua composizione di metalli decrescenti in valore dalla testa ai piedi, rappresenta la progressiva degenerazione delle età dell’uomo. Le crepe nella statua, da cui sgorgano lacrime che formano i fiumi infernali, simboleggiano la corruzione e il dolore che permeano l’umanità.
La struttura del canto alterna descrizioni paesaggistiche, dialoghi con i dannati e spiegazioni mitologiche, creando un equilibrio tra narrazione e riflessione morale. L’uso di immagini forti e simboliche amplifica l’impatto emotivo e la comprensione dei temi trattati.
Le figure retoriche principali
Dante impiega diverse figure retoriche per arricchire il testo e enfatizzare i concetti espressi. L’allegoria è evidente nella rappresentazione del Veglio di Creta, dove la statua simboleggia le diverse età dell’uomo e la decadenza morale dell’umanità. La metafora è utilizzata nella descrizione della pioggia di fuoco, che rappresenta la punizione divina che si abbatte incessantemente sui peccatori.
L’anafora, ovvero la ripetizione di una o più parole all’inizio di versi consecutivi, è presente nei versi che descrivono la caduta incessante delle fiamme, creando un ritmo martellante che sottolinea l’eternità della pena. L’iperbole è utilizzata per enfatizzare la vastità del deserto e l’intensità della sofferenza, amplificando la percezione del tormento subito dai dannati.
La personificazione è evidente nel mito del Veglio di Creta, dove la statua piange lacrime che danno origine ai fiumi infernali, attribuendo caratteristiche umane a un elemento inanimato per esprimere la sofferenza universale. Infine, l’allitterazione, attraverso la ripetizione di suoni consonantici simili, contribuisce a creare un effetto sonoro che amplifica l’atmosfera cupa e opprimente del canto.
Il contrappasso dei violenti contro Dio, Natura e Arte
Nel terzo girone del settimo cerchio, Dante colloca i violenti contro Dio, la Natura e l’Arte, puniti in un deserto infuocato, dove una pioggia di fiamme cade incessantemente su di loro. Il contrappasso di questi peccatori è altamente simbolico: in vita hanno sfidato l’ordine divino e naturale, e ora subiscono una punizione che riflette la loro colpa. La sabbia rovente simboleggia la sterilità delle loro azioni, mentre la pioggia di fuoco rappresenta il castigo per il loro disprezzo verso i principi fondamentali dell’esistenza.
I bestemmiatori, che hanno offeso Dio con le loro parole, giacciono distesi sulla sabbia infuocata, come se fossero stati abbattuti dalla loro stessa arroganza. Questa posizione indica la loro sottomissione forzata al volere divino, che in vita avevano rifiutato di riconoscere. Tra questi spicca la figura di Capaneo, un personaggio tratto dalla mitologia classica, che mantiene il suo atteggiamento di sfida e disprezzo, pur essendo condannato a soffrire eternamente. La sua arroganza, anziché attenuarsi, lo rende ancora più dannato, poiché il suo stesso orgoglio diventa la causa del suo tormento.
I sodomiti, che hanno commesso atti contro natura, sono condannati a camminare incessantemente sotto la pioggia di fuoco. Il loro movimento continuo riflette l’erranza della loro condotta in vita, un’azione che non ha trovato un equilibrio nella legge naturale e divina. Il fatto che non possano mai fermarsi sottolinea l’instabilità e la mancanza di pace che caratterizzava la loro esistenza.
Gli usurai, infine, siedono immobili con borse al collo che portano gli stemmi delle loro famiglie. In vita hanno accumulato ricchezze attraverso il prestito di denaro, un’attività considerata innaturale perché genera profitto senza la creazione di un bene reale. La loro immobilità rappresenta il blocco della loro esistenza, che in vita era interamente incentrata sul denaro, e ora si riduce a un tormento senza fine.
Il mito del Veglio di Creta e l’origine dei fiumi infernali
Uno degli elementi più affascinanti del Canto XIV è il racconto del Veglio di Creta, una statua gigantesca situata nel Monte Ida, che Virgilio descrive a Dante per spiegare l’origine dei fiumi infernali. Il Veglio è un’immagine allegorica della decadenza dell’umanità, composto da diversi metalli che rappresentano le quattro età dell’uomo, tratte dalla mitologia classica.
La statua ha la testa d’oro, che simboleggia l’Età dell’Oro, un’epoca di purezza e armonia. Il petto e le braccia sono d’argento, rappresentando l’Età dell’Argento, seguita dal ventre di bronzo, che raffigura l’Età del Bronzo, un periodo di declino morale. Infine, le gambe sono di ferro, segno dell’Età del Ferro, caratterizzata da corruzione e violenza. Tuttavia, una delle due gambe è di terracotta, simbolo della fragilità del potere umano.
Le lacrime che sgorgano dalle crepe della statua rappresentano le sofferenze e le colpe dell’umanità, e si trasformano nei quattro fiumi infernali: Acheronte, Stige, Flegetonte e Cocito. Questo mito, oltre a fornire una spiegazione simbolica sulla geografia dell’Inferno, è una potente riflessione sulla decadenza del mondo e sulla corruzione della società.
Il significato della sfida di Capaneo
Capaneo è una delle figure più interessanti del Canto XIV, poiché incarna l’orgoglio e la ribellione contro Dio. Questo personaggio mitologico, tratto dalla leggenda della guerra di Tebe, è noto per la sua arroganza e per aver sfidato Giove, dichiarando che neanche la potenza divina avrebbe potuto fermarlo. Nella narrazione dantesca, Capaneo mantiene questo atteggiamento anche nella dannazione, dimostrando un’ostinazione che rende la sua pena ancora più severa.
Il suo rifiuto di sottomettersi al volere divino è emblematico dell’hybris, il peccato dell’orgoglio e della sfida agli dèi, che nella cultura classica portava inevitabilmente alla rovina. Virgilio rimprovera Capaneo, spiegandogli che la sua arroganza è parte del suo tormento: la sua stessa rabbia contro Dio è ciò che lo condanna a soffrire ancora di più. Questo concetto rientra perfettamente nella logica del contrappasso, dove il peccato si trasforma nella punizione stessa.
Capaneo rappresenta quindi la lotta inutile contro il destino e la giustizia divina. Il suo personaggio serve da monito per gli uomini, mostrando che la superbia e la ribellione contro il divino portano solo a un dolore maggiore.