Canto XXXIII del Purgatorio di Dante: analisi e commento
Il trentatreesimo canto del Purgatorio si apre con un’atmosfera di silenzio raccolto e solennità spirituale, mentre la visione allegorica dei canti precedenti si avvia alla conclusione. Dante si trova ancora nel Paradiso Terrestre, testimone degli eventi simbolici che riguardano la Chiesa e la sua storia travagliata.
- L’ultima visione e la chiusura della processione
- Le parole profetiche di Beatrice
- L’acqua dell’Eunoè e il compimento della purificazione
- La trasformazione di Dante e l’ascesa imminente
- La chiusura del Purgatorio e l’apertura alla visione
L’ultima visione e la chiusura della processione
Dopo le immagini profetiche della corruzione del carro trionfale, Beatrice ordina che il carro venga legato a un albero spoglio, segno evidente della caduta e del peccato, ma anche della possibilità di rinascita. L’albero, infatti, richiama l’albero della conoscenza del bene e del male, e la sua presenza nel Paradiso Terrestre richiama alla memoria l’origine della colpa umana. L’azione di Beatrice non è solo simbolica ma carica di valore salvifico, poiché suggerisce che anche ciò che è stato deformato può essere redento.
Il corteo riprende il suo cammino, e Dante resta con san Bernardo e Beatrice, pronto ad affrontare l’ultimo passaggio prima dell’ascesa al cielo. La processione, che era iniziata con una visione di perfezione divina, si chiude lasciando al poeta la consapevolezza della fragilità umana e della necessità della fede.
Le parole profetiche di Beatrice
Beatrice, con tono solenne e penetrante, pronuncia in questo canto le sue ultime parole prima di cedere definitivamente il passo alla visione del divino. Il suo discorso è intriso di riferimenti profetici, in cui critica aspramente lo stato della Chiesa contemporanea a Dante, indicando la necessità di una riforma morale profonda.
Senza nominarli apertamente, Beatrice accenna a figure e poteri corrotti, alla decadenza dell’autorità spirituale, e alla perdita del vero messaggio evangelico. Ma il suo non è un discorso di disperazione: è una denuncia che si apre alla speranza, alla possibilità che, attraverso la parola e la testimonianza, si possa ritrovare la via della verità. Beatrice affida a Dante un compito chiaro: quando tornerà tra i vivi, dovrà raccontare ciò che ha visto e compreso, con coraggio e onestà.
Il poeta non è solo un pellegrino salvato, ma un uomo incaricato di trasmettere la verità. In queste parole finali si compie la missione di Beatrice, che ha condotto Dante dalla selva del peccato alla soglia della luce, con la forza di una guida che unisce sapienza e amore.
L’acqua dell’Eunoè e il compimento della purificazione
Il momento centrale del canto è rappresentato dall’immersione di Dante nel fiume Eunoè, l’ultimo atto del processo di purificazione iniziato con il Letè. Se il primo fiume aveva cancellato la memoria del peccato, l’Eunoè ha invece il compito di ravvivare la memoria di tutto il bene compiuto in vita.
Si tratta di un passaggio decisivo, che non solo conclude simbolicamente il cammino purgatoriale, ma restituisce a Dante la pienezza della coscienza morale, rendendolo degno di salire alle stelle. L’azione è affidata a Matelda, che accompagna Dante con grazia e fermezza, quasi come una sacerdotessa che officia un rito sacro.
L’acqua dell’Eunoè è limpida, viva, e trasmette al poeta una sensazione di forza nuova, una sorta di rinascita spirituale che lo rende pronto ad affrontare l’ineffabile. Questo gesto semplice, ma potentemente simbolico, conclude il percorso di redenzione iniziato all’ingresso del Purgatorio. Non è solo un lavacro rituale, ma una vera rigenerazione dell’essere, una preparazione completa per la visione del Paradiso.
La trasformazione di Dante e l’ascesa imminente
Dopo l’immersione nell’Eunoè, Dante si sente trasformato. Ogni peso interiore, ogni residuo di colpa, è stato sciolto. Il suo spirito è lucido, libero, forte. È un momento di equilibrio perfetto, in cui il poeta non è più l’anima confusa e tremante della selva oscura, ma un uomo rinnovato, in cui il pensiero, l’amore e la volontà sono finalmente in armonia. Il canto sottolinea come questa trasformazione non sia frutto di uno sforzo solitario, ma il risultato di un cammino condiviso, guidato da figure sapienti come Virgilio, Beatrice e Matelda.
L’anima è ormai pronta a ricevere la luce del cielo, non come premio, ma come naturale compimento di una purificazione sincera e profonda. Il canto non descrive ancora l’ingresso nel Paradiso, ma lo prepara con cura, con una calma solenne che precede il grande salto. In questo stato di perfezione interiore, Dante è pronto a elevarsi, non come spettatore, ma come partecipe della verità eterna.
La chiusura del Purgatorio e l’apertura alla visione
Il Canto 33 del Purgatorio conclude l’intera seconda cantica con un tono di compimento e apertura. Da una parte si chiude il lungo cammino di purificazione, segnato da prove, incontri, riflessioni e progressiva presa di coscienza. Dall’altra, si apre la strada verso la conoscenza suprema, verso una verità che non sarà più mediata da parole o immagini, ma intuita direttamente dall’anima. Questo canto ha un valore doppio: chiude la fase della salvezza conquistata attraverso il pentimento e il dolore, e apre quella della contemplazione gioiosa, che sarà la cifra del Paradiso.
Beatrice, congedandosi dal suo ruolo attivo, affida a Dante una duplice missione: vivere pienamente l’esperienza della visione divina e testimoniarla al mondo. Il fiume Eunoè, limpido e salvifico, è l’ultima soglia, il segno che l’anima è pronta, che nulla più le manca. E così il poeta può dire, con certezza e meraviglia, che dal Purgatorio è uscito puro e disposto a salire alle stelle.