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​ Canto XXXI del Purgatorio di Dante: analisi e commento

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Nel trentunesimo canto del Purgatorio, Dante si trova di fronte a Beatrice, che ha finalmente preso il posto di Virgilio come guida. Dopo il solenne rimprovero del canto precedente, la tensione emotiva raggiunge ora il suo punto più alto: Beatrice conduce Dante a una resa dei conti interiore, a un vero e proprio processo dell’anima, in cui il poeta è chiamato a confrontarsi con il proprio passato, le sue colpe e le sue deviazioni. Il tono di Beatrice non è indulgente né materno: è fermo, lucido, quasi implacabile. Non basta aver percorso l’intero cammino del Purgatorio, non basta aver compreso il male e desiderato il bene.

Serve ora un atto di verità assoluta, un riconoscimento limpido delle proprie responsabilità. Beatrice rievoca i momenti in cui Dante, pur avendo ricevuto i segni della grazia, si è lasciato traviare dalle passioni, cedendo all’effimero e dimenticando il senso del divino. Le sue parole, dure ma giuste, costringono Dante a guardarsi dentro come mai prima, facendogli sentire il peso della distanza tra ciò che avrebbe potuto essere e ciò che è stato.

Il ruolo del pentimento e la confessione

L’intera scena assume i tratti di una confessione spirituale, ma non in senso rituale: si tratta di una confessione autentica, che nasce da un dolore profondo e da un sincero desiderio di redenzione.

Beatrice agisce come giudice e guida, ma anche come strumento della grazia: attraverso le sue parole, Dante ha l’occasione di rivedere se stesso con chiarezza, senza maschere. Il poeta è scosso, ferito nel profondo, e questo turbamento è la prova della sincerità del suo pentimento. Non ci sono lacrime di superficie, ma una trasformazione radicale dell’animo. Dante comprende di aver tradito la fiducia di chi lo aveva amato per condurlo al bene, di aver offuscato con la sua incostanza l’immagine di una verità più alta che lo aveva scelto. È in questo momento di crollo emotivo che si compie la prima vera liberazione: la colpa è riconosciuta, accolta, sofferta.

Ed è proprio attraverso questa sofferenza che si apre la possibilità della purificazione definitiva. La confessione, dunque, è l’atto culminante del percorso penitenziale, l’atto che permette di risalire davvero alla luce.

Il fiume Eunoè e la rinascita della memoria

Dopo il momento di crisi e di consapevolezza, arriva la seconda fase del rito conclusivo del Purgatorio: l’immersione nel fiume Eunoè, che ha il compito di restituire alla memoria dell’anima tutto ciò che di buono è stato compiuto nella vita terrena. A differenza del fiume Letè, che cancella il ricordo del peccato, l’Eunoè ravviva la coscienza del bene, ricompone l’identità dell’individuo nella sua forma più alta. La memoria torna ad essere alleata, non più peso, ma fonte di forza.

Matelda accompagna Dante nel fiume con dolcezza, come in un rito battesimale, e il poeta sente di essere ora completamente rinnovato. L’anima, ormai libera dal peccato e rafforzata dalla memoria del bene, è pronta per elevarsi verso le sfere del Paradiso. Questo passaggio è fondamentale, perché non basta dimenticare il male per essere giusti: bisogna anche ricordare il bene, riconoscersi capaci di virtù, di verità, di amore. Solo così l’uomo è pronto a contemplare Dio, con la consapevolezza piena di ciò che ha superato e di ciò che è diventato.

Il distacco definitivo da Virgilio e la nuova maturità

Anche se Virgilio è già scomparso fisicamente, il Canto 31 rappresenta il momento in cui Dante interiorizza davvero la sua assenza. L’addio non è più solo emotivo, ma simbolico: con l’immersione nell’Eunoè e l’avvenuta confessione, Dante non ha più bisogno di una guida razionale. La ragione umana, rappresentata dal poeta latino, ha condotto l’anima fino al limite massimo che le è concesso. Da qui in poi, è la fede a guidare, la luce che non si argomenta ma si contempla. Dante ha ormai raggiunto una maturità spirituale nuova: non è più l’anima smarrita della selva oscura, ma un uomo capace di guardare se stesso senza paura, pronto a salire verso l’eterno.

Questo canto chiude il Purgatorio in modo potente, non con una visione mistica o un’apparizione grandiosa, ma con un atto di coscienza profondo, umano e trasformativo. È l’uomo che, avendo attraversato l’abisso della colpa, riconosce la propria dignità e si prepara a ricevere la visione del divino. In questa nuova consapevolezza, Dante non ha più bisogno di appoggiarsi a nessuno: è pronto a camminare con la propria luce.

L’anima pronta alla visione

Il Canto 31 è il vertice della purificazione interiore. Tutto ciò che Dante ha vissuto finora, dalla discesa nell’Inferno alla faticosa salita del Purgatorio, confluisce in questo momento di sintesi spirituale. La presenza di Beatrice, il rimprovero, la confessione, il battesimo dell’anima, sono tappe di un rituale di rinascita. L’anima è ora interamente limpida, riconciliata con se stessa, forte nel ricordo del bene e libera dal peso del peccato. Non ci sono più ostacoli, né paure: ciò che attende Dante è la visione della verità, che non si conquista, ma si riceve, come dono ultimo della grazia.

Questo canto non chiude solo il Purgatorio, ma apre le porte del Paradiso, non come luogo fisico, ma come condizione dell’essere. L’uomo, purificato e cosciente, può finalmente alzare lo sguardo verso la luce senza essere accecato. È pronto a contemplare il mistero, non più da peccatore, ma da creatura redenta. In questa tensione tra fine e inizio, tra giudizio e amore, tra memoria e speranza, si consuma uno dei momenti più alti e profondi della Commedia.