Il Paradiso di Dante Alighieri: struttura, analisi e personaggi
L’ultimo cantico della Divina Commedia si trasferisce in un non luogo, che conduce il Sommo Poeta alla rivelazione di Dio
Il Paradiso è il terzo dei regni dell’Oltretomba cristiano visitato da Dante nella sua Divina Commedia, una sezione nella quale il Sommo Poeta descrive il suo ultimo viaggio che culminerà con la visione di Dio. Complessivamente, rappresenta la visione dantesca dell’ordine cosmico, esplorata attraverso i concetti di beatitudine e di amore divino.
Anche dell’ultimo regno ultraterreno, Dante dà una precisa collocazione spaziale: guidato da Virgilio attraverso una porta che si trova a Gerusalemme per nove gironi infernali, concentrici e sempre più stretti, che scendono verso il centro della terra, dove alberga Lucifero, e poi tramite un sentiero impervio per le sette cornici fino alla vetta della gigantesca montagna del Purgatorio, approda nel giardino dell’Eden, dove viene affidato all’amata Beatrice, che tramite la transumanazione ne favorirà l’ascesa in Paradiso.
E’ da qui in poi, però, che Dante si allontana dai primi due regni, perché descrivere un non luogo fisico è impresa impossibile anche per il sommo poeta. Se Inferno e Purgatorio erano in qualche modo collegati e avevano uno stretto rapporto con la Terra, il Paradiso si discosta da tutto ciò che è terreno, a dominare è la luce, tutto è eterno ed etereo. I suoi “abitanti” non hanno una struttura fisica e concreta, perché ogni elemento che lo compone è prettamente spirituale. Solamente grazie all’aiuto di Beatrice prima e di San Bernardo nell’ultima parte del canto, Dante sarà in grado di comprendere e interagire, cose impensabili per una mente mortale.
Struttura
Proprio in virtù della difficoltà di descrivere con parole un luogo etereo come il Paradiso, Dante lo organizza ispirandosi alla dottrina cristiana dell’epoca e riallacciandosi alla cosmologia geocentrica aristotelica del cosiddetto sistema tolemaico. Così il poeta immagina che oltre la “sfera del fuoco”, che separa il mondo terreno da quello celeste, ruotino nove sfere concentriche. Sono i cieli, composti di una sostanza simile all’aria, detta etere, che muovendosi brillano di luce propria, emettendo suoni soavi e influenzando in tal modo gli accadimenti che hanno luogo sulla terra e i suoi abitanti. In cima ad essi, Dante, colloca l’Empireo, sede di Dio.
I primi sette cieli riprendono il nome dai sette pianeti che hanno la loro orbita attorno alla terra, l’ottavo è invece quello delle “Stelle Fisse”, dove si trovano le costellazioni visibili dalla terra, mentre il nono è detto “Primo Mobile”, perché è il cielo che per primo trasmette il suo movimento agli altri otto, i cui influssi si riverberano su tutte le creature terrene. Oltre i nove cieli si entra in un regno eterno e sterminato, che abbraccia tutto quanto esiste al di sotto di esso, è l’Empireo la sede di Dio, circondato dai nove cori angelici e dalla candida rosa dei beati. Questi ultimi, sono divisi in sette schiere a seconda dell’influsso celeste che hanno subito in vita e i loro spiriti angelici vengono associati ai rispettivi pianeti.
Ciascun cielo, dunque, è governato da un’intelligenza angelica:
- I Cielo (della Luna): governato dagli Angeli ed è associato agli spiriti difettivi, che non portarono a termine i voti pronunciati. Influsso: debole volontà
- II Cielo (di Mercurio): governato dagli Arcangeli ed è associato agli spiriti operanti per la gloria terrena. Influsso: desiderio di gloria terrena
- III Cielo (di Venere): governato dai Principati ed è associato agli spiriti amanti. Influsso: amore per il prossimo
- IV Cielo (del Sole): governato dalle Podestà ed è associato agli spiriti sapienti. Influsso: amore per la sapienza
- V Cielo (di Marte): governato dalle Virtù ed è associato agli spiriti combattenti per la fede. Influsso: combattività
- VI Cielo (di Giove): governato dalle Dominazioni ed è associato agli spiriti giusti. Influsso: amore per la giustizia
- VII Cielo (di Saturno): governato dai Troni ed è associato agli spiriti contemplanti. Influsso: tendenza alla vita contemplativa
L’ottavo cielo, come detto, è la sfera celeste delle Stelle Fisse, cielo dei cherubini nel trionfo di Cristo e di Maria, in cui orbitano tutti gli astri in posizioni reciproche e sempre uguali fra loro.
Nel nono cielo si trova il Primo Mobile, o Cristallino, il cielo dei serafini, il quale regola il movimento di tutti gli altri cieli sottostanti.
Alle soglie dell’Empireo, Dante viene affidato da Beatrice a San Bernardo, che intercede con la Vergine per consentirgli di contemplare la visione della luce divina, là dove trionfa il bene assoluto, e di fissare lo sguardo in Dio.
Analisi
Come accennato in precedenza, la poetica della terza cantica della Divina Commedia va via via discostandosi sempre più nettamente da quella che aveva caratterizzato Inferno e Purgatorio. Questi infatti erano luoghi fisici, caratterizzati da tratti plastici e materiali, l’orrenda voragine e l’altissima montagna, che ne rendevano possibile da parte dell’autore la descrizione, che invece in Paradiso si fa sempre più rarefatta, proprio come il mondo astratto e immateriale nel quale Dante si ritrova catapultato nell’ascesa verso Dio.
È allora volontaria e consapevole la scelta del poeta di rinunciare all’iconografia tradizionale da sempre associata al Paradiso, per farsi guidare da luce, musica, figure geometriche e immagini matematiche. Solamente nel I cielo, infatti, i beati conservano un aspetto umano, seppur appaiano come figure evanescenti, simili alle immagini riflesse nell’acqua. Dal II cielo in poi, invece, si rivelano a Dante come sagome avvolte di luce e ancora più in là semplicemente come pura luce, che splenderà di più nel momento in cui si intratterrà gioiosamente con il visitatore, dando vita alla simbologia associata alla schiera di appartenenza. Così, gli spiriti sapienti formano due corone e danzano al suono di una melodiosa musica, gli spiriti combattenti una croce, quelli giusti una scritta che esorta i regnanti della Terra ad amare la giustizia e che si trasforma in un’aquila, simbolo dell’autorità imperiale, e quelli contemplanti un’altissima scala d’oro, simbolo dell’ascesi spirituale. Nell’Empireo, invece, tutti i beati creano la candida rosa a forma di anfiteatro, i cui seggi sono evocati da Beatrice ma non descritti fisicamente, e che appare come un fiume di luce, mentre l’impossibile trasposizione della visione divina prende la forma di tre cerchi che nascono uno dall’altro e che rappresentano il mistero della Trinità e dell’effige umana, che si staglia su un fondo dello stesso colore e che simboleggia l’incarnazione del divino.
Qui, il poeta quasi si giustifica per la sua incapacità di fornire una descrizione compiuta di questa dimensione sovrumana, che travalica le capacità terrene, rendendo impossibile esprimere a parole uno spettacolo che per sua natura è indescrivibile. È la poetica dell’inesprimibile di stilnoviana memoria, quando Cavalcanti ammetteva nei suoi versi l’incapacità di descrivere la “donna angelo”. Così Dante recupera la tradizione nell’amore mistico per Beatrice, prima di spostare l’attenzione su Dio, vera fonte ispiratrice di tutta la Divina Commedia e in particolare del Paradiso, che il Sommo Poeta per primo ha solcato “con la nave del suo ingegno”, attraverso un mare mai percorso da nessun altro.
Personaggi
Dalla “staffetta” tra Virgilio, Beatrice e San Bernardo alle anime beate che Dante incontra nel suo viaggio attraverso i cieli celesti, sono diversi i personaggi importanti del Paradiso. Ciascuno di essi, infatti, rappresenta un’entità spirituale e fornisce a Dante insegnamenti e comprensioni sempre più profonde riguardo alla fede, alla teologia e al significato della vita.
Se Virgilio aveva accompagnato Dante fino alle soglie del Giardino dell’Eden, senza potersi spingere oltre in quanto anima condannata a restare nel limbo in eterno, è Beatrice a guidare il poeta fino al momento dell’incontro con Dio, per il quale lo affida a San Bernardo di Chiaravalle, che intercederà con la Vergine attraverso la preghiera del canto XXIII.
Il Paradiso, che non può essere compreso attraverso la ragione ma solo con la fedeltà, ha infatti bisogno di figure diverse per trasmettere a Dante i due diversi modi di porsi davanti alla fede. Beatrice diventa così maestra di filosofia e di teologia, che invita il poeta a una riflessione sulla divinità che è ancora razionale, gli illustra la struttura dei cieli e lo aiuta attraverso la posizione momentanea assunta dai beati. È in questa occasione che si ritrova il tratto stilnovista cui si faceva accenno, con Beatrice a vestire i panni della “donna angelo”, per avvicinare Dante a Dio attraverso l’amore che prova per lei. Il compito di San Bernardo, invece, è quello di guidare il poeta verso l’abbandono totale e la contemplazione della divinità, lontano da qualunque riflessione di tipo teologico o filosofico.
Nella sua ascesa attraverso le sfere celesti, Dante incontra tutta una serie di personaggi portatori di un valore altamente simbolico, utile al poeta per tessere le fila del suo racconto: da San Pietro, cui rivolge domande sulla fede e sulla Chiesa, a San Giovanni Evangelista, con il quale discute su questioni teologiche e spirituali, da Sant’Anna, la madre della Vergine Maria, che condivide con lui un insegnamento sulla Concezione, a San Benedetto, l’incontro con il quale avviene all’interno di una visione della Gerusalemme Celeste, passando per San Francesco d’Assisi, simbolo di umiltà e povertà, San Domenico, con il quale discetta d’eresia, e San Tommaso d’Aquino, che gli chiarisce alcune questioni sulla teologia e sulla dottrina.
Infine la figura che più di tutti gli altri personaggi assume un ruolo determinante per la doppia valenza che gli attribuisce lo stesso Dante, quella di Cacciaguida. Questi è un avo del poeta, che prese parte alle crociate in Terrasanta e che per questo viene inserito tra gli spiriti combattenti del quinto cielo, quello di Marte. Dante utilizza Cacciaguida per ribadire la sua posizione su Firenze, in un confronto tra l’antico splendore e la corruzione che lo ha offuscato, ma anche come sprone per scrivere la stessa Divina Commedia. È infatti in questo fondamentale canto che Dante svela gli intenti della sua opera, attraverso la quale spera sì di consentire ai lettori di accedere alle grandi verità escatologiche che contiene, ma soprattutto di ottenere la revoca di quell’insopportabile fardello che lui è l’esilio.