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Levommi il mio penser in parte ov'era di Petrarca: analisi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il sonetto “Levommi il mio penser in parte ov’era" è uno dei componimenti più significativi del Canzoniere di Francesco Petrarca. In questa poesia, il poeta descrive un’esperienza onirica in cui il suo pensiero lo eleva fino al cielo, permettendogli di incontrare nuovamente Laura, la donna amata, ormai trasfigurata in una dimensione celeste.

Levommi il mio penser in parte ov’era: testo e parafrasi

Testo:

Levommi il mio penser in parte ov’era
quella ch’io cerco, et non ritrovo in terra:
ivi, fra lor che ’l terzo cerchio serra,
la rividi più bella et meno altera.

Per man mi prese, et disse: – In questa spera
sarai anchor meco, se ’l desir non erra:
i’ so’ colei che ti die’ tanta guerra,
et compie’ mia giornata inanzi sera.

Mio ben non cape in intelletto humano:
te solo aspetto, et quel che tanto amasti
e là giuso è rimaso, il mio bel velo.

Deh perché tacque, et allargò la mano?
Ch’al suon de’ detti sì pietosi et casti
poco mancò ch’io non rimasi in cielo.

Parafrasi:

Il mio pensiero mi sollevò fino al luogo dove si trova colei che cerco e non trovo più sulla terra: lì, tra coloro che abitano il terzo cielo, la rividi più bella e meno altera.

Mi prese per mano e disse: “In questa sfera sarai ancora con me, se il desiderio non inganna: io sono colei che ti diede tanta sofferenza e che concluse la sua vita prematuramente.

La mia beatitudine non può essere compresa dall’intelletto umano: aspetto solo te, e ciò che tanto amasti e che è rimasto laggiù, il mio bel corpo.

Ahimè, perché tacque e lasciò la mia mano? Al suono delle sue parole così pietose e caste, poco mancò che io non restassi in cielo.

Il significato del sonetto

Questo sonetto, il numero 302 del Canzoniere, appartiene alla sezione “In morte di Laura", scritta dopo la scomparsa dell’amata avvenuta nel 1348. In questo periodo, Petrarca elabora il lutto attraverso la poesia, cercando di sublimare il dolore per la perdita.

Nel sonetto, il poeta descrive un’ascesa spirituale che lo porta a incontrare Laura nel “terzo cerchio", identificato con il cielo di Venere, dove risiedono gli spiriti amanti. Laura appare trasfigurata, più bella e meno altera, e lo rassicura sulla possibilità di una futura riunione nell’aldilà, esprimendo al contempo il desiderio di ricongiungersi sia con l’anima del poeta che con il proprio corpo terreno, definito “il mio bel velo".

Il sonetto riflette la tensione tra l’amore terreno e l’aspirazione spirituale, temi ricorrenti nella poetica petrarchesca. Laura, pur essendo ormai una creatura celeste, mantiene un legame con la dimensione terrena, evidenziando la complessità del sentimento amoroso che unisce corpo e anima, desiderio e spiritualità.

Levommi il mio penser in parte ov’era: struttura e analisi

Il sonetto segue la struttura metrica tradizionale del sonetto italiano, composto da due quartine e due terzine con schema rimico ABBA ABBA CDC DCD.

Nella prima quartina, il poeta descrive l’ascesa del suo pensiero verso il cielo, dove ritrova Laura trasfigurata. La seconda quartina introduce il dialogo con Laura, che lo prende per mano e gli parla. Le terzine approfondiscono il contenuto del dialogo, con Laura che esprime il desiderio di una futura riunione e il poeta che riflette sull’esperienza vissuta.

Dal punto di vista stilistico, il sonetto è caratterizzato da un linguaggio elevato e solenne, con l’uso di termini come “spera" (sfera celeste), “intelletto humano" e “velo" (in riferimento al corpo). L’uso del verbo “Levommi" all’inizio crea un effetto di immediatezza, coinvolgendo il lettore nell’esperienza mistica del poeta.

Le principali figure retoriche

Il sonetto è arricchito da una serie di figure retoriche che conferiscono profondità espressiva e intensità emotiva al testo. Uno degli elementi più significativi è l’anafora del pronome “i'" (io) nei versi 7 e 8, che sottolinea la centralità dell’esperienza personale del poeta. Questo ripetersi del soggetto rafforza l’idea che l’intera visione sia vissuta in prima persona, come un’esperienza mistica e interiore che segna profondamente Petrarca.

L’allitterazione della consonante “m" in “Mio ben non cape in intelletto humano" (v. 9) contribuisce a creare un effetto di morbidezza e riflessione. Il ripetersi del suono conferisce musicalità al verso e suggerisce una dolcezza solenne, adatta a esprimere l’idea di un amore che va oltre i limiti della comprensione umana.

L’iperbato in “Per man mi prese" (v. 5) enfatizza il gesto affettuoso di Laura, ponendo in evidenza la mano che prende quella del poeta prima ancora di specificare chi compie l’azione. Questo particolare ordine delle parole crea un effetto di sorpresa e di coinvolgimento emotivo, facendo percepire al lettore l’intensità del momento e il senso di contatto quasi divino tra il poeta e la sua amata trasfigurata.

Un’altra figura retorica fondamentale è l’antitesi tra “più bella" e “meno altera" (v. 4), che evidenzia la trasformazione di Laura nell’aldilà. Se in vita era bellissima ma distante, ora appare a Petrarca in una forma ancora più splendente, ma al contempo più accessibile e benevola. Questo contrasto esprime la sublimazione dell’amore: Laura non è più solo l’oggetto di un desiderio inappagato, ma una presenza rassicurante che accoglie il poeta nel suo mondo ultraterreno.

L’interrogazione retorica “Deh perché tacque, et allargò la mano?" (v. 12) esprime il rammarico del poeta per la fine dell’esperienza mistica e la separazione improvvisa da Laura. Il tono del verso è carico di malinconia e sottolinea l’intensità del momento, in cui il sogno si dissolve bruscamente, lasciando il poeta con un senso di nostalgia e di desiderio inappagato.

Un’altra immagine di grande forza simbolica è la metafora contenuta nell’espressione “il mio bel velo", con cui Laura si riferisce al proprio corpo terreno. Il termine “velo" suggerisce leggerezza e fragilità, evocando l’idea della caducità della materia rispetto all’anima immortale. Questa immagine rafforza il tema della separazione tra corpo e spirito e il concetto che l’essenza di Laura non risiede più nella sua forma fisica, ma in una dimensione eterna.

Infine, l’enjambement tra il verso 9 e il 10 (“Mio ben non cape in intelletto umano: / te solo aspetto") crea un effetto di sospensione, amplificando il senso di attesa e l’intensità emotiva del messaggio di Laura. Il pensiero si interrompe per poi riprendere nel verso successivo, dando la sensazione di un discorso che si sviluppa con solennità e dolcezza, proprio come le parole di Laura che giungono al poeta come una promessa di un futuro ricongiungimento.

Attraverso l’uso sapiente di queste figure retoriche, Petrarca costruisce un sonetto di grande raffinatezza espressiva, in cui la dimensione terrena e quella ultraterrena si intrecciano, dando vita a una poesia che racchiude il senso più profondo del suo amore per Laura: un legame che supera il tempo e la morte, trasformandosi in un’attesa spirituale che si compirà solo nell’eternità.

Il tema dell’amore spirituale e della tensione tra terra e cielo

Uno degli elementi più significativi del sonetto è il superamento dell’amore terreno. Se nei componimenti precedenti del Canzoniere Petrarca descrive l’amore per Laura in termini contrastanti tra desiderio e tormento, qui si assiste a una sua sublimazione. Laura non è più una donna irraggiungibile su questa terra, ma un essere celeste che invita il poeta a rivolgersi all’eternità.

L’opposizione tra terra e cielo, tra amore carnale e amore spirituale, è al centro della poetica petrarchesca. L’ascesa del poeta non è soltanto un viaggio fisico o onirico, ma un percorso simbolico verso la purificazione del sentimento amoroso. Laura, ormai parte del mondo divino, non può più offrirgli un legame terreno, ma lo aspetta nell’aldilà, in una promessa di ricongiungimento eterno.

Tuttavia, la poesia mostra anche il dolore della separazione e il desiderio mai sopito di un’unione tangibile. La domanda finale del poeta, “Deh perché tacque, et allargò la mano?", racchiude la sua frustrazione nel vedere svanire l’immagine di Laura proprio nel momento in cui si stava avvicinando. Il suo “pensare" lo ha elevato fino al cielo, ma la realtà della vita terrena lo riporta giù, lasciandolo nuovamente solo.

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