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Battaglia di Lepanto, quando è avvenuta e quali sono le cause

Oltre 400 galere e 200mila uomini si affrontarono in una feroce battaglia navale, in cui per la prima volta le forze europee riuscirono a sconfiggere la marina ottomana

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Il 7 ottobre del 1571 oltre 400 galee e 200mila uomini si affrontano nel Golfo di Lepanto, in una delle ultime grandi battaglie navali combattute su imbarcazioni a remi. La Lega Santa sconfigge la flotta dell’Impero Ottomano nella prima vittoria significativa nel Mediterraneo da parte di forze navali europee e cristiane contro quelle ottomane e musulmane.

Il Contesto

La Battaglia di Lepanto arriva al culmine di un periodo di grande instabilità nel Mediterraneo occidentale, in cui ormai da anni imperversano le navi turche. Dopo che, nel 1565, Malta rischia di cadere in mani ottomane, prende vita a un’alleanza per fronteggiare il crescente pericolo, nasce la Lega Santa, che sotto il comando di Don Giovanni d’Austria, figlio illegittimo dell’imperatore Carlo V e fratellastro del re Filippo II, riunisce Stato pontificio, Impero spagnolo, le Repubbliche di Venezia e Genova, i Cavalieri di Malta, i Ducati di Savoia, Urbino e Lucca e il Granducato di Toscana. Nel settembre del 1571, l’armata cristiana salpa da Messina per far rotta verso le acque greche, obiettivo riprendersi Cipro, che dopo la capitolazione di Famagosta è stata annessa dall’Impero Ottomano, sconfiggendo la flotta turca, attraccata nel golfo di Lepanto, all’imboccatura dell’attuale golfo di Corinto.

La Battaglia

E’ l’alba del 7 ottobre quando la flotta della Lega Santa si schiera nelle acque del golfo, con tre corni in linea e una in retroguardia. I turchi, comandati dall’ammiraglio Mehmet Alì Pascià, rispondono dispiegandosi in forma di mezza luna. Le forze in acqua numericamente si equivalgono, da parte cristiana si contano 204 galee e sei galeazze, da parte musulmana 205, circa 90mila per parte, invece, il totale tra soldati e marinai. Gli equipaggi però non sono altrettanto equilibrati, quello europeo conta infatti 36mila uomini d’armi, contro i 20mila turchi, e altri 34mila tra marinai e galeotti, cui don Giovanni d’Austria promette indulto e libertà se prenderanno parte all’arrembaggio, cosa che non possono permettersi i turchi, perché la maggior parte dei loro galeotti è costituita da schiavi cristiani.

Alle 9 del mattino, la battaglia prende forma con le flotte che avanzano una contro l’altra, i cristiani decidono di portare in avanguardia le galeazze, più massicce e lente, ma pesantemente armate, con lo scopo di rompere la formazione nemica.

È mezzogiorno quando si scatena l’inferno. Cinque delle sei galeazze cristiane aprono il fuoco sulle galere turche, mandandone a picco diverse. L’ammiraglio Alì Pascià però lascia che le imbarcazioni avversarie attraversino le fila turche, puntando dritto verso la flotta della Lega. E’ anche una guerra di nervi, perché per causare più danni possibili al nemico, bisogna cannoneggiare a corta distanza, tattica perfettamente eseguita dall’armata cristiana, che quando la distanza tra gli schieramenti è minore di 100 metri, inizia a cannoneggiare contro le imbarcazioni turche, distruggendone i ponti.

Ora, però, ha inizio un’altra battaglia, meno navale e più “terrestre", le flotte sono ormai scafo contro scafo e l’abbordaggio è reciproco. I soldati cristiani preparano l’arrembaggio a colpi di archibugi, quelli musulmani rispondono con le frecce, poi si combatterà sui rispettivi ponti a colpi di spada.

La Battaglia di Lepanto diventa un puzzle composto da tanti diversi scenari, le navi si affrontano generalmente una contro una, ma nell’infuriare del combattimento capita anche che si creino situazioni di imbarcazioni circondate dagli avversari. La regola “condivisa" è che non si faranno prigionieri, eccezion fatta per i due comandanti, per i quali è possibile chiedere un riscatto.

Il corno sinistro della Lega Santa, quello dei veneziani comandati dall’ammiraglio Agostino Barbarigo, si è spinto fino alla costa ed è il primo a entrare in combattimento. Le 53 galere, scortate da due galeazze, inizialmente rischiano di essere sopraffatte, una pioggia di frecce scagliate dagli arcieri turchi miete diverse vittime, tra le quali proprio l’ammiraglio Barbarigo, centrato in un occhio, ma il supporto arrivato dal centro e soprattutto dalla retroguardia guidata da Alvaro de Bazan di Santa Cruz, ribalta la situazione a favore dei cristiani, che costringono il nemico a fuggire via terra, dopo averne ucciso il comandante Scirocco.

Intanto, il corno centrale di Don Giovanni d’Austria si batte furiosamente, in uno scontro frontale con le navi di Alì Pascià, che vengono travolte dalla potenza di fuoco delle galere della Lega e dalla fanteria cristiana, di gran lunga superiore ai giannizzeri ottomani.

Solamente il corno destro, agli ordini di Gian Andrea Doria, sembra soccombere, circondato d in mare aperto dai turchi di Uccialì, un corsaro calabrese convertitosi all’Islam, che affondano e arrembano numerose navi. L’equipaggio della Capitana, l’ammiraglia dell’Ordine di Malta, affidata al priore Piero Giustiniani, viene quasi totalmente sterminato, ma l’arrivo dei rinforzi dal centro e dalla retroguardia costringe gli ottomani a fuggire, seppur col prezioso bottino del vessillo dell’Ordine dei Cavalieri.

La Battaglia di Lepanto, a questo punto, può considerarsi conclusa. Sono all’incirca le quattro del pomeriggio e dopo il saccheggio è il momento del pesante bilancio della storica vittoria cristiana. Si contano quindici galere affondate per parte, mentre i morti si valutano intorno ai 30mila, più precise sono le cifre riferite ai prigionieri, circa ottomila, che verranno ridotti in schiavitù, e ai galeotti liberati, 12mila, tra i quali anche numerose donne.

“Porto […] la più nobile e ammirabile Vittoria. L’Armata turca, completamente vinta e sconfitta dai nostri. Pochissimi si salvarono. Siate contenti […]". (Sebastiano Venier, ammiraglio veneziano)