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Chi era Giovanna D'Arco, l'eroina francese

All'anagrafe Jehanne Darc, e conosciuta anche come la ‘pulzella d'Orléans’, guidò con successo le armate transalpine contro l'esercito inglese, recuperando gran parte dei territori persi durante la Guerra dei Cent'Anni. Catturata poi dal nemico, venne condannata al rogo ed arsa viva

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Figlia di contadini ed analfabeta, Giovanna d’Arco è simbolo nel mondo di tenacia e forza d’animo. Dedicò la sua vita, spezzata a soli 19 anni, alla propria patria e, dopo la beatificazione del 1909 e la canonizzazione del 1920, dal 1922 è la santa patrona della Francia.

Chi era Giovanna d’Arco

Nacque a Domrémy, in Borgogna, il 6 gennaio 1412 da Jacques Darc ed Isabelle Romée, due contadini provenienti dalla Lorena. Sin dalla più tenera età mostrò una particolare attenzione per i bisognosi, i meno abbienti e i malati, e numerose testimonianze dell’epoca raccontano come fosse solita ospitare i senzatetto nella propria dimora, dormendo lei stessa sul suolo. Dopo alcune esperienze sovrannaturali, come le apparizioni dell’arcangelo Michele o delle sante Caterina e Margherita, iniziate intorno ai 13 anni, Giovanna d’Arco maturò la decisione di consacrarsi a Dio facendo voto di castità: i genitori, in un primo momento ignari di tutto, decisero di darla in sposa ad un giovane di Toul, che la citò in giudizio al tribunale episcopale a seguito del rifiuto. Ad ogni modo, furono proprio queste ‘voci’, divenute via via sempre più frequenti, ad infonderle il coraggio – nel 1928, durante la Guerra dei Cent’Anni – di non fuggire con il resto della famiglia alle devastazioni messe in atto dagli inglesi, ma di correre in aiuto del Delfino di Francia Carlo. Per farlo, si recò a Vaucouleurs per incontrare – con l’aiuto dello zio Durand Laxart – il capitano della piazzaforte, Robert de Baudricourt. Questi, dopo averla respinta e schernita, cambiò idea dopo i successivi due tentativi di Giovanna – probabilmente convinto anche dal successo che ella riscuoteva nelle masse – ma non prima di averla fatta sottoporre ad un esorcismo. Decise pertanto di accompagnarla al cospetto del Delfino.

Giovanna d’Arco, le prime missioni

Il 22 febbraio 1429, senza neppure avvisare i genitori, Giovanni partì per Chinon, accompagnata da un manipolo di uomini. Giunse al castello nel mese di marzo, attese due lunghissimi giorni prima di incontrare Carlo, superò brillantemente un tranello da egli improvvisato – indicò il conte di Clermont affermando “È lui il re” – e un esame di fede alla presenza di alcuni affermati ecclesiasti. Giovanna, senza indugio, dichiarò di essere stata inviata da Dio per portare soccorso al sovrano e alla Francia, coinvolta in una guerra senza apparenti speranze di successo. Fu quindi inviata a Poitiers, dove per tre settimane venne interrogata da un gruppo di teologi. Fu la prova decisiva che convinse definitivamente Carlo ad affidarle un intendente, Jean d’Aulon, e l’incarico di ‘accompagnare’ una spedizione militare – pur senza incarichi ufficiali – in soccorso di Orléans, ormai sotto assedio: di fatto, le mise in mano il destino della propria nazione. Giovanna ‘riformò’ completamente le abitudini dell’esercito, allontanando le prostitute, vietando bestemmie, razzie e saccheggi ed imponendo ai soldati la confessione e due preghiere quotidiane intorno al proprio stendardo. Il suo carisma colpì tutti, al punto che numerosi volontari si unirono all’armata francese, e il 27 aprile – nei pressi del borgo di Chécy – incontrò il generale Jean d’Orléans. Nonostante le iniziali divergenze di vedute, prevalse il piano d’azione di Giovanna, che – inaspettatamente raggiunta dai fratelli Giovanni e Pietro – venne accolta con grande entusiasmo dalla popolazione. Il giorno 30 tentò la via diplomatica con gli inglesi in prima persona, ma venne ricoperta di ingiurie, con la promessa di essere arsa viva sul rogo qualora fosse stata fatta prigioniera in battaglia. La notte tra il 4 e il 5 maggio si svegliò di soprassalto, impugnò la spada, prese lo stendardo bianco con raffigurato Dio benedicente il fiordaliso francese e ai lati gli arcangeli Michele e Gabriele, montò in sella al suo destriero nero e galoppò verso la porta di Borgogna: vi era in corso un attacco alla bastia di Saint-Loup. Trovò soldati allo stremo delle forze che, alla sua vista, attinsero ad energie extra, riprendendo il proprio posto sul campo di battaglia, con una veemenza inaudita, che sovvertì le sorti della battaglia. Molti inglesi si diedero alla fuga vestiti da preti. Seguì un nuovo, vano tentativo diplomatico, così, il 6 maggio, fu inevitabile un nuovo scontro, condotto ancora una volta con successo da Giovanna, che riportò la sua prima ferita. Ben peggiore fu quella del giorno seguente – una freccia la colpì tra il collo e la scapola – che costrinse alcuni uomini a portarla via. I francesi erano in difficoltà e la giovane eroina, alla vista di uno ‘sconosciuto’ con in mano il proprio stendardo, lo raggiunse al fine di strapparglielo dalle mani. L’esercito interpretò tale gesto come un inequivocabile segno di dare assalto agli inglesi e così fecero, seguiti dalla popolazione, mettendo in fuga i nemici (molti dei quali annegarono nella Loira). Fu un successo importantissimo, perché impedì alla Corona – e ai Borgognoni suoi alleati – di conquistare Orléans, ultimo step prima della discesa a Chinon, sede della corte di Carlo.

Giovanna d’Arco e la campagna della Loira

Con l’obiettivo di riconquistare Reims, l’11 giugno del 1429 Giovanna – a Jargeau – si mise nuovamente in luce resistendo ad un’offensiva inglese e guidando con successo il contrattacco, ma il giorno seguente venne nuovamente ferita, stavolta alla testa: colpita da un masso, tuttavia, si rialzò prontamente e continuò a combattere come nulla fosse. Una nuova importante vittoria avvenne poi il giorno 15, con gli inglesi che si ritirarono in attesa di rinforzi. Un nuovo alleato, nel frattempo, lo trovarono anche le armate francesi: si trattava del conestabile Arturo di Richemont, un uomo in disgrazia ed inviso a molti soldati. Giovanna, allora, chiese all’ufficiale di corte niente più che la fedeltà in battaglia e lo ammise nell’esercito, una mossa che avrebbe potuto compromettere la propria reputazione agli occhi dell’élite transalpina, ma che – dato l’estremo bisogno a livello numerico – si rivelò decisiva. Il 18 giugno, infatti, l’armata reale conquistò una netta vittoria nei pressi di Patay, con oltre 2mila morti tra le fila inglesi ed appena tre tra quelle francesi. La fama della ‘pulzella d’Orléans’ crebbe a dismisura, in totale controtendenza con l’estrema umanità mostrata sul campo di battaglia: celebre fu il suo abbraccio ad un inglese gravemente ferito da un gesto violento e codardo di un soldato francese, invitandolo a confessarsi prima che l’inevitabile morte sopraggiungesse. Dopo che molte altre città della Loira si arresero volontariamente, Giovanna, insieme a Jean d’Orléans e il duca d’Alençon, cavalcò verso il Delfino, ricevendo tuttavia una fredda accoglienza. Il 29 giugno, però, dopo molte insistenze, ottenne il via libera per un ultimo, decisivo attacco a Reims. La prima città posta sul cammino era Auxerre, che promise la resa soltanto qualora lo avessero fatto anche Troyes e Châlons. Giovanna si recò quindi nella prima e, dopo un’infruttuosa via diplomatica, dispiegò un numero cospicuo di soldati, che costrinse il nemico alla fuga e permise a Carlo di fare il suo trionfale ingresso. Trovarono una Châlons già liberata dalla popolazione, quindi Sept-Saulx e Domrémy, dove la giovane ebbe modo di riabbracciare genitori e amici d’infanzia. Arrivò quindi una delegazione di Reims che offrì la totale obbedienza della città. Il coraggio e la forza d’animo di Giovanna d’Arco furono, a conti fatti, il segreto della solenne incoronazione del Delfino a Re di Francia, col nome di Carlo VII. “O gentile Re, ora è compiuto il volere di Dio, che voleva che vi conducessi a Reims per ricevere la Consacrazione, dimostrando che siete il vero re, e colui al quale il Regno di Francia deve appartenere!“, invece, furono le parole rivolte al sovrano dalla Pulzella in lacrime.

Giovanna d’Arco: gli ultimi anni e la morte

Colta da sentimenti contrastanti, tra la gioia per l’elezione di Carlo e del ricongiungimento con i genitori e la stanchezza fisica e mentale per la lunga missione, confidò a Jean d’Orléans che avrebbe volentieri lasciato le armi per fare ritorno a casa. Oltretutto, numerose gelosie nei suoi confronti si stavano facendo largo a corte, soprattutto alla luce del suo progetto – quello di riconquistare rapidamente Saint-Denis e Parigi – che minava la sete di ricchezza dei nobili vicini a Carlo VII, favoriti dalla sua rapida ascesa. Giovanna prese parte ad altre campagne, su tutte quella di Montépilloy, ma il ‘vento’ cambiò e quell’aura che l’avvolgeva iniziava a perdere bagliore agli occhi del re. Stanca dei continui rinvii, e sfruttando il ‘lavoro’ del duca d’Alençon ‘alle costole’ del sovrano, convinto della bontà dell’operazione mirata a Saint-Denis, Giovanna prese parte l’8 settembre 1429 all’assalto della porta SaintHonoré, venendo tuttavia ferita da una freccia che le trapassò la coscia. Il giorno seguente, come nulla fosse, si preparò per il nuovo attacco, quando venne fermata dal duca di Bar e dal conte di Clermont, che le intimarono per ordine del re di interrompere l’offensiva e tornare a Saint-Denis, probabilmente rimproverata per un’iniziativa che non era stata neppure la sua. Così, decise di deporre la propria armatura sull’altare della principale chiesa della città. Seppur costretta all’inazione, fu nobilitata da Carlo con un’arme araldica e il privilegio di trasmettere il titolo nobiliare anche per via femminile, ma vide sempre respinte le proprie richieste di tornare alle armi. Nell’aprile del 1430, stufa dell’inattività forzata, la Pulzella abbandonò la vita di corte per mettersi a capo di volontari e mercenari. Il 6 maggio, in una Compiègne cinta d’assedio dagli anglo-borgognoni, Giovanna guidò una serie di vane sortite, quindi, il 23, probabilmente tradita dal governatore della città, Guglielmo di Flavy, che ordinò di chiudere le porte delle mura nonostante le ultime compagnie non fossero ancora rientrate, venne circondata e strattonata da cavallo, e fu costretta ad arrendersi a Jean di Wamdonne. Dopo quattro mesi, trascorsi da prigioniera d’alto rango, venne imposta – per il suo riscatto – una cifra enorme, pari a 10mila lire tornesi, paragonabile a quella richiesta per un principe di sangue reale. Ufficialmente, re Carlo VII non fece nulla, anche se alcuni documenti segreti sembrerebbero dimostrare due tentativi segreti di liberazione, tuttavia naufragati. Quel che è certo è che il 21 novembre 1430, a Le Crotoy, Giovanna venne consegnata agli inglesi in qualità di prigioniera di guerra e quindi continuamente trasferita da una roccaforte all’altra. La ‘Pulzella d’Orléans’ tentò almeno due volte la via della fuga, una interrotta ad un passo dalla riuscita, un’altra conclusa con una rovinosa caduta che la lasciò tramortita e ferita per alcuni giorni. Giunta a Rouen, fu vittima di una detenzione durissima, osservata notte e giorno da cinque guardie, in una cella piccolissima, coi piedi stretti in ceppi di ferro e le mani legate. Il processo nei suoi confronti iniziò ufficialmente il 3 gennaio 1431, ma la prima udienza si tenne pubblicamente soltanto il 21 febbraio. Com’era facile immaginare, non ebbe un giusto processo, continuamente interrotta e con gravi omissioni dei segretari inglesi riguardo a qualunque fatto potesse risultarle favorevole e, a partire dal 10 marzo, le udienze passarono a porte chiuse. Nonostante si batté fino all’ultimo, venne di fatto schiacciata da un’accusa di 70 articoli, poi racchiusi in 12 punti, e a complicare la situazione sopraggiunse il grave malore – secondo alcuni un tentativo di avvelenamento – accusato il 16 aprile, dal quale si ristabilì in realtà piuttosto rapidamente. Si giunge così all’epilogo della sua straordinaria, seppur breve, vita: il 9 maggio, nonostante le minacce di tortura e alla presenza del boia, rifiutò di piegarsi e non rinnegò nulla di quanto fatto, il 24 venne ricondotta nella cella appena lasciata nonostante avesse firmato l’abiura – nella quale rinunciava a riprendere le armi, portare abiti da uomo e i capelli corti in cambio di un carcere a vita, ma senza ferri, interrogatori continui e sorvegliata da sole donne – e il 27, dopo essere stata denudata da un soldato, le furono serviti soltanto vestiti maschili. Avendo abiurato, indossarli sarebbe equivalso alla morte sul rogo, ma il freddo, ancor più che la vergogna, la costrinsero a cedere. Il 30 maggio Giovanna venne condotta nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen e, vestita di un lungo abito bianco, incatenata sopra un’impressionante catasta di legna, al fine di non farle perdere i sensi e, quindi, non alleviarle in nessun modo la sofferenza. Poi, venne data alle fiamme di fronte ad una numerosa folla riunitasi per l’occasione.