Salta al contenuto

Girolamo Savonarola, vita e storia del profeta

Religioso, politico e predicatore appartenente all'ordine domenicano, venne scomunicato, impiccato e bruciato sul rogo per aver profetizzato sciagure per Firenze e per l'Italia

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

I numerosi testi di Savonarola, inseriti da papa Paolo IV nell’indice dei Libri Proibiti, furono riabilitati da Benedetto XIV nel 1740. Il 30 maggio 1997, in prossimità del quinto centenario della morte, l’Arcidiocesi di Firenze ha avviato la causa di beatificazione e canonizzazione, ma il nulla osta dalla Santa Sede – ad oggi – non è ancora stato concesso.

Chi era Girolamo Savonarola

Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola nacque a Ferrara il 21 settembre 1452, terzo dei sette figli avuti dal mercante Niccolò e da Elena Bonacolsi, discendente della nobile famiglia in passato a capo della Signoria di Mantova. Fu, però, il nonno paterno Michele, originario di Padova e trasferitosi nella città emiliana per svolgere il ruolo di archiatra del marchese Niccolò III d’Este, a prendersi cura della prima educazione di Girolamo, insegnandogli la grammatica e la musica. Alla morte del nonno, il padre Niccolò lo indirizzò nello studio delle arti liberali, e conseguì il titolo di maestro, ma a soli 18 anni abbandonò quelli di medicina. Appassionato dapprima dei ‘Dialoghi’ di Platone, poi di aristotelismo e tomismo, Savonarola si dedicò alla teologia, coltivando la passione per i componimenti poetici: già nel 1472 scrisse la canzone ‘De ruina mundi’, nella quale comparvero per la prima volta i temi delle sue future predicazioni, mentre tre anni più tardi, in ‘De ruina Ecclesiae’, paragonò la Roma papale all’antica e corrotta Babilonia. Nonostante ciò, il 24 aprile dello stesso anno – ascoltando le parole di un predicatore nella chiesa di Sant’Agostino a Faenza – sentì la vocazione, abbandonò la famiglia ed entrò nel convento di San Domenico a Bologna. Alla base della sua decisione, con tutta probabilità, ci fu un senso di disillusione causato dalla decadenza dei costumi. Due giorni più tardi ricevette l’abito di novizio, l’anno seguente i voti, il 21 settembre 1476 fu nominato suddiacono e il 1° maggio 1477 diacono. Inviato prima a Ferrara e poi a Reggio Emilia, il 28 aprile 1482 divenne quindi lettore nel convento fiorentino di San Marco con il compito di esporre le Scritture, ma il pulpito di San Lorenzo assegnatogli nella quaresima del 1484 fu tutt’altro che un successo, a causa del suo accento romagnolo poco gradito dai fedeli della città medicea. L’anno seguente, mandato a San Gimignano, iniziò le sue famose ‘predicazioni profetiche’: parlò di una Chiesa cattolica che doveva essere “flagellata e rinnovata“, anche a causa dei suoi cattivi pastori, e denunciò le efferatezze degli uomini (come omicidi, lussuria, sodomia, idolatria, credenze astrologiche, simonia, disprezzo per i santi e poca fede), oltre all’evidenza di presagi, segno di prossime sventure. Nel 1487 ottenne la prestigiosa nomina di maestro nello Studium generale di San Domenico a Bologna quindi, un anno dopo, tornò a Ferrara.

Savonarola, gli anni a Firenze

Durante i due anni trascorsi nel monastero di Santa Maria degli Angeli Savonarola si spostò frequentemente al fine di predicare, prevedendo castighi in diverse città, tra cui Brescia, poco tempo dopo saccheggiata dai francesi. Si recò a Genova, come sempre a piedi, per la Quaresima, quindi a Pavia, dove scrisse alla madre, che si lamentava della sua assenza, e a Firenze nel 1490. Si guadagnò il soprannome di ‘predicatore dei disperati’ per la sua capacità di far presa su poveri, scontenti e oppositori politici, tenendo una serie di lezioni sul tema dell’Apocalisse e sulla Prima lettera di Giovanni, senza aver mai timore di accusare prelati, filosofi, letterati e governanti, compreso Lorenzo de’ Medici, che lo ammonì più volte. Savonarola fu realmente combattuto se continuare o meno ma, come scrisse egli stesso, la mattina del 27 aprile 1491 sentì una voce dirgli “Stolto, non vedi che la volontà di Dio è che tu predichi in questo modo?”. Quindi, minacciato di essere mandato al confino, replicò predicendo la prossima morte de ‘Il Magnifico’, che avverrà meno di un anno dopo. Eletto priore di San Marco, ottenne – con l’appoggio del cardinale protettore dell’Ordine domenicano Oliviero Carafa – l’autorizzazione del nuovo papa Alessandro VI all’indipendenza del convento. Dopo San Marco fu il turno di Fiesole, San Gimignano, Pisa e Prato, creando così una Congregazione toscana, della quale assunse il ruolo di Vicario generale. Con l’obiettivo di rendere i suoi frati un effettivo ordine mendicante, privo di ogni bene, vendette tutti i loro oggetti personali e con essi i possedimenti dei conventi, donando il ricavato ai più bisognosi. Il 21 settembre 1494, in concomitanza con la discesa in Italia di Carlo VIII, Savonarola – sul pulpito di un Duomo di Milano gremito – pronunciò una delle sue più violente prediche – sul tema del Diluvio, che venne associato all’arrivo del re francese. Mentre Firenze cacciava i Medici ed instaurava la Repubblica, Girolamo dovette difendersi dalle false accuse di nascondere grandi tesori e di arricchirsi alle spalle dei suoi seguaci. L’anno seguente, quindi, incontrò Carlo VIII – pressato da Sacro Romano Impero, Spagna, il papa, Venezia e Ludovico il Moro – a Poggibonsi, ottenendo la rassicurazione che Firenze non avrebbe subito danni. Così, fece un trionfale rientro in città.

Savonarola: scomunica, condanna e morte

Il 21 luglio 1495 Savonarola venne invitato dal papa a Roma affinché potesse “far meglio le cose” da egli conosciute “che siano gradite a Dio“, ma rifiutò. Venne così – l’8 settembre – accusato di eresia e false profezie e sospeso da ogni incarico, mentre il giudizio a suo carico veniva demandato a fra Sebastiano Maggi, vicario generale della Congregazione lombarda, che considerava un suo avversario. Alessandro VI, il 16 ottobre, sospese i precedenti ordini, ma lo intimò ad astenersi dalle predicazioni, una decisione alla quale ubbidì, pur pubblicando ‘Operetta sopra i Dieci Comandamenti’ e ‘Epistola a un amico’, nella quale respinse le accuse di eresia e difese la riforma politica introdotta a Firenze. Proprio la Repubblica toscana fece pressione sul pontefice affinché Savonarola tornasse a predicare e il 16 febbraio 1496, accompagnato da un corteo di 15mila persone, risalì sul pulpito di Santa Maria del Fiore. Ad agosto il papa gli offrì la carica di cardinale, ma la sua risposta – nella Sala del Consiglio, alla presenza della Signoria – fu: “Non voglio cappelli, non voglio mitrie grandi o piccole, voglio quello che hai dato ai tuoi santi: la morte. Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!“. La situazione, inevitabilmente, si fece ancor più tesa. Respinte le accuse di Ludovico il Moro, intenzionato a rompere l’alleanza tra Firenze e Francia, per due lettere – false – che il frate avrebbe scritto a Carlo VIII, organizzato il cosiddetto ‘falò delle vanità’, in cui diede alle fiamme numerosi oggetti, dipinti, gioielli, suppellettili e vestiti e scampato – grazie a Corbizzo da Castrocaro – un tentato omicidio da parte di Bartolomeo Giugni, il 12 maggio 1497 ricevette una scomunica, rivelatasi falsa in tempi moderni. Fu opera del figlio del pontefice, Cesare Borgia, che assoldò un falsario e Alessandro VI, pur ‘venerando’ Girolamo come un santo, non rivelò al mondo l’inganno per non andar contro il proprio (illegittimo) erede. Nonostante ciò, Savonarola continuò a denunciare i vizi della Chiesa, creandosi sia nuovi seguaci, che nemici. Senza più il sostegno della Francia e col ritorno dei Medici a Firenze, nel 1498 venne prelevato con la forza da San Marco, schernito da un armigero (“Ve’ dove gli ha la profezia!“, dopo un calcio nel fondoschiena) arrestato per eresia, torturato e vittima di un processo manipolato: subì il tratto di corda, il fuoco sotto ai piedi e venne posto per un’intera giornata sul cavalletto. Condannato a essere bruciato in piazza della Signoria con due suoi confratelli, Domenico Buonvicini da Pescia e Silvestro Maruffi da Firenze, dopo la degradazione e la rimozione dell’abito domenicano, il 23 maggio 1498 venne impiccato, prima che il suo corpo venisse dato alle fiamme.