La Gioconda, storia e significato del capolavoro di Leonardo
Perché fu ritratta la Monna Lisa? Chi era? E cosa cela il suo sorriso enigmatico, quella sua espressione così insondabile? Andiamo a ricostruire insieme la genesi del ritratto più famoso di tutti i tempi, l’unico dipinto di Leonardo la cui paternità non sia stata posta in discussione
- Lisa, perché Gioconda?
- Ma è davvero lei?
- Lo sguardo, il sorriso, la tecnica
- Lo sfondo: reale o immaginario?
- Il colpevole e la rocambolesca fuga dal museo
- Aggredita con l’acido, da una tazza di the e una fetta di torta
Lisa, perché Gioconda?
Monna – ovvero Madonna, mea domina, mia Signora – Lisa Gherardini è una nobildonna nata a Firenze nel 1479 che sposò giovanissima un mercante di tessuti, Francesco di Bartolomeo del Giocondo, destinato a diventare un alto funzionario della Repubblica Fiorentina.
Proprio dal matrimonio con Francesco del Giocondo, dunque, deriva l’appellativo «Gioconda» con cui sia la donna che l’opera sono state appellate nei secoli.
Non da quel suo sottile, a volte impercettibile sorriso trae origine, quindi, il titolo del ritratto. Nonostante – nomen omen – i due elementi sembrino appaiarsi con straordinaria efficacia comunicativa.
Ma è davvero lei?
Bella domanda. Il riscontro storico, da parte di parecchie fonti, vorrebbe fugare ogni dubbio. Il Vasari, ad esempio, cita Lisa Gherardini come modella del ritratto senza alcun dubbio. Resta il fatto che altri storici, di contro, vorrebbero che il soggetto ritratto da Leonardo fosse Caterina Sforza o la madre dello stesso Leonardo: Caterina Buti del Vacca. Altri ancora indicano la figlia di Ludovico il Moro – Bianca Giovanna Sforza – o Pacifica Brandani, l’amante di Giuliano De’Medici, o la duchessa di Milano: Isabella d’Aragona.
Nell’attuale catalogo ragionato di Leonardo da Vinci (2018), soltanto Isabella d’Este appare come unica plausibile alternativa.
Marchesa di Mantova, fu la più illustre mecenate del suo tempo.
Quando nel 1499 da Vinci fu costretto a rifugiarsi alla sua corte – dopo l’espulsione degli Sforza – realizzò per lei disegni e ritratti. Uno di essi che la raffigura di profilo, ancora conservato al Louvre, mostra somiglianze con la Gioconda. Anche se i capelli presumibilmente biondi della committente lasciano ulteriori margini di dubbio.
Tali perplessità, in ogni caso, sorgono, per assurdo, proprio a seguito della descrizione che dell’opera fa Giorgio Vasari. Lo storico dell’arte, infatti, menziona il tratto delicato della peluria delle sopracciglia della Monna Lisa e rimarca anche la stupenda fattura delle fossette sulle guance.
A una osservazione accurata, però, di entrambi i tratti non v’è traccia.
Come sciogliere, allora, l’arcano?
In realtà, Leonardo iniziò a dipingere il ritratto nel 1503 ma continuò a ritoccarlo per anni. Durante il terzo soggiorno fiorentino, infatti, accettò parecchi incarichi impegnativi e contemporanei: la Battaglia di Anghiari, il Cartone di Sant’Anna o progettazione di un canale di deviazione dell’Arno utile a fronteggiare l’avanzata dei rivali Pisani, sommergendoli con le sue acque. Scrisse volumi d’idraulica, ingegneria, meccanica, geometria, aerodinamica, astronomia. E continuò a ritoccare e modificare la Gioconda anche nel periodo di trasferimento a Milano e Roma (1507).
Le analisi effettuate sul dipinto attraverso l’uso dei raggi X hanno dimostrato l’esistenza di ben tre versioni precedenti all’attuale, sotto la superficie.
Quando nel 1517 si trasferì in Francia, ospitato da Francesco I presso il castello di Clux, vicino Amboise, la pala raffigurante Madonna Lisa era ancora al suo seguito.
Sarà proprio a Clux che Leonardo resterà fino alla sua morte, il 2 maggio 1519.
Francesco I aveva acquistato da lui «Sant’Anna», «San Giovanni Battista» e «La Gioconda» per la somma di circa 4000 scudi d’oro.
Tra le testimonianze che attestano la presenza del quadro in Francia c’è quella di Antonio dei Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona, che lo aveva visto il 10 ottobre 1517 proprio nel castello di Cloux.
Lo sguardo, il sorriso, la tecnica
Il ritratto, che cattura l’attenzione dello spettatore per la forza enigmatica dello sguardo e del sorriso della Monna Lisa, è in realtà composto da due elementi distinti: quello della figura in primo piano e quello dello sfondo naturalistico.
La donna, infatti, si trova su una sorta di loggia panoramica. Lo dimostrano le colonne poste ai lati, sul parapetto, così come una copia seicentesca che riporta elementi architettonici più ampi, probabilmente poi eliminati dallo stesso Leonardo.
La Gioconda è raffigurata con una “inquadratura” a mezzo busto. La figura è lievemente voltata verso sinistra, mentre il volto si presenta frontale, ruotato per guardare in direzione dello spettatore. In primo piano, le mani, adagiate con dolcezza.
Gli abiti che veste sono quelli dell’epoca: in testa un velo trasparente che disciplina i lunghi capelli sciolti, che ricade fin sulla spalla dove incontra un drappo, una sorta di sciarpa. La moda del tempo le concede una scollatura generosa, in panni pesanti, ricamati sul petto e con maniche di tessuto a contrasto.
La bocca che si apre leggermente in un sorriso enigmatico, è stata “scomposta” nei suoi elementi e analizzata non soltanto attraverso un’ottica squisitamente pittorica e tecnica, ma anche con approccio neuroscientifico.
Se la delicatezza dello sfumato leonardesco le regala la bellezza naturale che cela le pennellate, lo studio delle neuroscienze pone una questione profondamente interessante: quella della spontaneità del sorriso.
Scomponendo la bocca della Monna Lisa nelle sue due metà – destra e sinistra – e “doppiando” le due metà con l’uso di uno specchio, si ottengono due bocche profondamente diverse: una realmente sorridente, l’altra per nulla.
La bocca della gioconda, dunque, è profondamente asimmetrica ed esprime due sentimenti contrastanti. Da qui, probabilmente, la sua espressione insondabile.
I neuro-scienziati, poi, concludono che il sorriso sarebbe in definitiva non spontaneo, forzato, quantomeno imposto dalla posa. Tutto ciò, ovviamente, non ne riduce il fascino finale.
Lo sfondo: reale o immaginario?
Il secondo elemento rappresentato nel quadro, il paesaggio alle spalle della Monna Lisa, non è privo – anch’esso – di elementi di mistero.
Complice il fatto che si presenti non uniforme nelle sue parti destra e sinistra; innanzitutto poiché l’una è posta più in alto rispetto alla seconda.
Forse aggiunta in un secondo momento? Forse con un valore simbolico? Forse, ancora, del tutto immaginaria? Via al dibattito!
In considerazione della importante cura dei dettagli che caratterizza le opere di Leonardo, molti studiosi sono portati a pensare che il paesaggio rappresenti un punto ben preciso dell’Italia. Vediamo le diverse opzioni individuate:
- la Toscana: nel punto in cui l’Arno supera le campagne di Arezzo e viene ingrossato dalle acque della Val di Chiana. Il ponte – basso, a più arcate, in stile romanico – che supera la spalla destra della Gioconda sarebbe il Ponte di Buriano;
- sul lato sinistro, invece, si scorge una gola che potrebbe essere quella di Pratantico; caratterizzata dai vicini calanchi. Da questa prospettiva, sembrerebbe potersi affermare che il luogo sia il Borgo di Quarata; dove sorgeva anticamente un castello oggi scomparso.
- Una diversa interpretazione pone lo sfondo presso una gola attraversata dall’Arno vicino alla città di Signa.
- Altri ritengono che il paesaggio non sia toscano ma prealpino: nei dintorni di Lecco. Si riconoscerebbe il Resegone e il ponte Vecchio di Lecco, sulla parte destra in basso.
- Qualcuno ha parlato delle Paludi Pontine, altri di luoghi “costruiti” combinando i panorami di luoghi visitati dallo stesso Leonardo nei suoi innumerevoli viaggi.
- Altri hanno affermato che lo sfondo vada interpretato utilizzando uno specchio perché ricavato attraverso l’uso della camera oscura leopardiana. In questo caso, sia paesaggio potrebbe rappresentare il Lago d’Iseo.
- Sparita! Il furto del secolo
È il 22 agosto del 1911 quando, arrivando di buon mattino al Louvre, Louis Beroud – un copista autorizzato a riprodurre la Gioconda a porte chiuse – si accorge di un “buco” nella sequenza dei quadri esposti alle pareti. La tela è stata trafugata, probabilmente nella notte tra il 20 e il 21.
È il furto del secolo. La polizia non ha nulla a cui appigliarsi, se non le dichiarazioni di Guillarme Apollinaire che ha recentemente affermato di voler distruggere ogni opera contenuta in tutti i musei per aprire spazi destinati all’arte nuova. Il poeta viene condotto nella patrie galere il 7 settembre, a seguito delle false accuse ad opera di un amante (Honoré Gèri Pieret) arrestato per ricettazione di alcune statuette antiche. Anche Picasso è nella lista dei sospettati, ma viene rilasciato in breve, così come Apollinaire.
Sprovvisti di una pista credibile, il capolavoro viene considerato perso e sostituito con il Ritratto di Baldassarre Castiglione a opera di Raffaello.
Il colpevole e la rocambolesca fuga dal museo
Come in un film, anche privo di una certa originalità, il colpevole si era nascosto rinchiudendosi nottetempo in uno stanzino ed era uscito dal museo la mattina successiva, occultando la tela sotto al cappotto.
Come faceva a conoscere così bene gli angoli più adatti in cui muoversi? Semplice: Vincenzo Peruggia – italiano, sì – era un ex dipendente del Louvre, lo stesso che aveva al tempo montato la teca che conteneva l’opera. Capace, quindi, di aprirla senza incorrere in errore.
La scena della fuga, poi, sembra assomigliare davvero a un giallo di imbarazzante fattura. Sparita la maniglia interna, il ladro aveva chiesto aiuto per uscire a un idraulico presente sul posto; e non solo: dopo aver sbagliato tram, aveva anche optato per un comodo taxi.
L’obiettivo di Peruggia era quello di fare in modo che la Gioconda tornasse in Italia. Riteneva, infatti, che l’opera fosse stata sottratta ingiustamente durante le spoliazioni napoleoniche.
Dopo ventotto mesi di “stagionatura” in una valigia nascosta sotto il letto di una pensioncina parigina, Monna Lisa arriva a Luino, il paese originario del ladro, per essere ancora una volta protagonista di una pellicola, stavolta alla Totò e Peppino.
È il 1913 quando Vincenzo Peruggia scrive una lettera ad Alfredo Geri, antiquario di Firenze. Si firma «Leonardo» e propone a Geri la restituzione dell’opera a fronte di due condizioni:
– che la Gioconda resti in Italia «perché Leonardo è italiano»
– 500mila lire «per le spese» sostenute
L’antiquario sta al gioco e fissa un appuntamento nella stanza 20 posta al terzo piano dell’Hotel Tripoli. Si fa accompagnare dal direttore degli Uffizi, di modo da poter valutare l’autenticità dell’opera.
Quando Peruggia si presenta con la tela, la sensazione è che non si tratti affatto di una copia.
Il ladro viene arrestato, riconosciuto come soggetto con difficoltà mentali e condannato a un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a 7 mesi e 15 gg. La sua motivazione di natura patriottica certamente gli attirò parecchie simpatie..
Prima di tornare al Louvre – grazie anche agli ottimi rapporti internazionali che correvano tra Italia e Francia – la Monna Lisa si concede un piccolo tour nel Bel Paese. Presso gli Uffizi di Firenze, quindi a Roma – all’ambasciata di Francia e alla Galleria Borghese – per terminare il viaggio alla Pinacoteca di Brera a Milano.
Ad accoglierla a Parigi, poi, le massime autorità francesi, con il Presidente Raymond Poincaré in testa.
Aggredita con l’acido, da una tazza di the e una fetta di torta
Le rocambolesche avventure della Monna Lisa non finiscono qui.
Durante le due guerre mondiali – per evitare ogni possibile danneggiamento, furto o perdita – fu trasferita in luoghi sicuri. Ma nulla impedì che nel 1956 fosse aggredita con un lancio d’acido e, mesi dopo, colpita da una sassata.
È allora che si decide di esporla dietro un vetro di sicurezza. Protetta anche dal lampo degli innumerevoli flash che ne avrebbero potuto causare il deterioramento – e quindi non solo da agenti corrosivi o impatti traumatici – la nuova teca ha salvato la Gioconda anche dal lancio di una tazza di the ad opera di una turista russa nel 2009 e dalla violenta aggressione ad opera di un folle armato di… una torta alla panna.
L’uomo, presentatosi al museo su una sedia a rotelle e vestito con abiti femminili (con tanto di parrucca), prima di essere trascinato via dalle guardie di sicurezza ha cosparso il pavimento con petali di rose.