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Paul Gauguin, vita e opere del pittore francese

Considerato uno dei maggiori interpreti del post-impressionismo, le sue tecniche influenzarono numerosi artisti moderni, su tutti Pablo Picasso e Henri Matisse

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Pittore, tra i più grandi dell’Ottocento, ma anche scultore, incisore, ceramista e scrittore del movimento simbolista: eppure, la fama di Paul Gauguin ‘esplose’ soltanto post mortem, soprattutto grazie alle iniziative del mercante d’arte Ambroise Vollard. Celebre fu il suo rapporto con Vincent van Gogh – col quale divise per nove settimane una casa ad Arles – e suo fratello Theodorus.

Chi era Paul Gauguin

Eugène-Henri-Paul Gauguin nacque il 7 giugno 1848 a Parigi da Aline Marie Chazal, discendente di una famiglia spagnola con origini peruviane, e Clovis Gauguin, un giornalista al servizio della rivista ‘Le National’, un repubblicano convinto spesso in contrasto con il governo di Napoleone III, al punto che già nel 1849 – sfruttando le diramazioni della moglie – si trasferì nel Paese sudamericano con tutta la famiglia, dove troverà la morte il 30 ottobre dello stesso anno a causa di un viaggio in piroscafo finito in tragedia. La cosa toccò marginalmente un ancora troppo piccolo Paul, che crebbe sereno a Lima, almeno fino a quando la madre, tormentata da pressanti problemi familiari, rinunciò alla cospicua eredità accumulata dal padre, don Pio, e si stabilì a Orléans, aiutata economicamente dai parenti del marito defunto. Furono questi gli anni più duri per Gauguin, costretto a imparare il francese – a tutti gli effetti madrelingua spagnolo, veniva vessato dai compagni di classe per gli errori di pronuncia – e a convivere con lo zio Isidore e la sorella Marie, entrambi poco stimati e apprezzati. Nulla sembrava interessarlo davvero – il suo percorso scolastico fu piuttosto deludente – ma è nella figura materna che trovò conforto e rifugio e a cui dedicherà – tra il 1890 e il 1893 – il bellissimo ritratto ‘La madre dell’artista’. Trasferitosi con mamma Aline a Parigi, nel frattempo impegnatasi sentimentalmente con Gustave Arosa, uomo d’affari ex ‘socio’ del padre nel commercio di guano in Perù, crebbe il suo malumore, alimentato dal fallimento nell’esame di ammissione all’Accademia Navale. Decise pertanto di arruolarsi come allievo pilota sul mercantile Luzitano e, sotto l’egida della Marina francese, girò il mondo, tornò in Perù, visitò Rio de Janeiro e, nel 1867, raggiunse l’India, luogo in cui apprese dell’improvvisa morte della madre. Quindi, al ritorno in patria, a soli 23 anni, dovette servire la propria patria, combattendo la terribile guerra franco-prussiana.

Gauguin, l’improvviso amore per l’arte

Fu proprio in questo periodo complicato che Gauguin si avvicinò all’arte, spronato da quell’Arosa divenuto suo tutore. Trovò un impiego come commesso presso l’agenzia di cambio dei Bertin e, messa da parte un’adolescenza tormentata, divenne un ‘perfetto borghese’, uno status quo suffragato dalle nozze – nel 1873 – con la danese Mette Gad, che gli darà ben cinque figli: Émile (1874), Aline (1877), Clovis (1879), Jean-René (1881) e Paul detto Pola (1883). Gauguin, via via sempre più appassionato, iniziò ben presto a spendere molti dei propri risparmi in dipinti contemporanei, soprattutto di artisti impressionisti come Cézanne, Pissarro, Sisley e Monet. L’improvviso amore per la pittura sfociò nella volontà di ‘mettersi in proprio’, dapprima con l’aiuto della figlia di Arosa, una pittrice dilettante, e poi frequentando l’Accademia Colarossi, dove strinse amicizia con Émile Schuffenecker. In questi anni realizzò opere modeste, come ‘La Senna con il ponte di Jena’, ‘Il Sottobosco a Viroflay’, ‘Sentiero boscoso’, ‘Giardino innevato’, ‘Paesaggio autunnale’ e ‘La famiglia del pittore nel giardino’, ma rafforzò il proprio legame con Pissarro, suo vero e proprio mentore non solo artistico, ma anche ‘umano’, grazie al quale ebbe modo di conoscere Cézanne e Degas. Nel 1883, poi, il crollo finanziario dell’Union Générale costrinse l’azienda a licenziarlo: angustiato dalle difficoltà economiche, Gauguin decise di dedicarsi anima e corpo alla pittura. Le cose, tuttavia, non andarono come in cuor suo sperava: il pubblico non era ancora pronto per le sue opere ‘rivoluzionarie’. Neppure l’esperienza danese, al seguito della moglie fuggita dalla famiglia a Copenhagen per ristabilirsi economicamente, lo condusse all’agognata svolta: l’ossessione del guadagno minò la sua reputazione e la sua mostra monografica fu un autentico flop. Allontanato da Matte, si recò a Londra, poi a Parigi, lavorando persino come attacchino di manifesti, ma grazie all’amicizia con Félix Bracquemond ed Ernest Chaplet riuscì a sfruttare le potenzialità del gres smaltato e a produrre ceramiche con le tecniche orientali a fuoco vivo. Perseguì quindi il desiderio di abbandonare il caos della metropoli e di trasferirsi a Pont-Aven, in Bretagna, una regione che era riuscita a proteggere le sue peculiarità storiche e geografiche dalla modernità. Qui realizzò capolavori come ‘Le pastore bretoni’ e ‘Ragazza bretone’, ma più in generale, dopo essersi insediato presso la pensione di Marie-Jeanne Gloanec, attirò intorno a sé un cospicuo numero di discepoli, fra i quali Èmile Bernard e Charles Laval. In un breve ritorno a Parigi conobbe il mercante d’arte Theo van Gogh, fratello di Vincent, prima di abbandonare nuovamente la Francia, dapprima per Taboga, un’isoletta nel golfo di Panama, quindi per Colón, ed infine a Saint-Pierre, in Martinica, dove nel 1887 dipinse ‘Paesaggio in Martinica’. In seguito ad accessi di malaria e dissenteria, tornò quindi a Parigi, dove nessuno – ad eccezione dei fratelli Van Gogh – si interessò alle sue opere. Con Vincent, dopo una nuova tappa a Pont-Aven, dove conobbe un giovanissimo Émile Bernard, che lo ammaliò con una nuova tecnica, il cloisonnisme, accettò – con uno stipendio di centocinquanta franchi e il pagamento di ogni spesa relativa al soggiorno in cambio di un quadro ogni mese – la proposta di Theo di trasferirsi ad Arles con il fratello Vincent: la convivenza, particolarmente difficile, ci lascia però in eredità opere quali ‘Van Gogh mentre dipinge girasoli’, del franco-peruviano, e ‘La sedia di Gauguin’, dell’olandese. Il triste epilogo della Casa Gialla è rappresentato dal folle gesto di Vincent di recidersi il lobo dell’orecchio sinistro. Paul, profondamente scosso, si precipitò a Parigi e quindi a Port-Aven e a Le Pouldu, un minuscolo villaggio affacciato sull’Atlantico, senza tuttavia dimenticare mai il grande affetto e l’immensa stima provati per l’amico.

Gli ultimi anni di Gauguin tra Tahiti, Parigi e Polinesia

L’ennesimo flop della mostra di Bruxelles del 1889, in cui tutti i dipinti rimasero invenduti, seguito da quello all’Exposition Universelle di Parigi, non minarono la sua autostima: Gauguin sentiva di aver raggiunto la propria maturità pittorica, come dimostra ‘Il Cristo giallo’, oggi conservato nel museo di Buffalo, negli Stati Uniti, o ‘La Bella Angèle’. Poco ispirato dalla Francia e ‘bocciati’ il Madagascar e il Tonchino in Vietnam, Gauguin decise di trasferirsi a Tahiti. Sbarcò a Papeete, dopo 65 giorni di viaggio e numerosi scali, il 28 giugno 1891 e non perse tempo: dipinse in sequenza i noti ‘Due donne tahitiane’, ‘Onana Maria’, ‘Donna con un fiore’, ‘Aha oe feii?’ e ‘Manao tupapau’, ma due settimane dopo il suo arrivo sull’isola apprese la notizia della morte di Pomaré V, l’ultimo sovrano indigeno dal quale sperava di ottenere dei favori: fu un avvenimento che ritenne emblematico e, complice l’arrivo di numerosi coloni francesi, insieme con la meticcia Titi – ben presto allontanata perché ritenuta ‘inadeguata’ per la propria missione pittorica, in quanto per metà occidentale e quindi troppo civilizzata – si trasferì a Pacca. Imparò la lingua maori, s’integrò nel tessuto sociale, si stabilì in una capanna di bambù con il tetto di foglie di palma a Mataiea con la tredicenne Tehura, ma non resse il peso della solitudine e fece domanda per il rimpatrio. Aiutato da alcuni amici, pagò tutti i debiti e tornò a Parigi nel 1893. La convinzione che il suo stile di vita eccentrico e la sua esperienza esotica donassero alle sue opere un grande interesse da parte di critici e pubblico fu spazzata via dall’insuccesso della mostra personale allestita – con il patrocinio di Degas – presso la Galleria Durand-Ruel. Succube della nostalgia, a dicembre rese l’ultima visita alla famiglia a Copenaghen poi, in compagnia dell’amata Anna, una meticcia giavanese, fece ritorno nei suoi luoghi preferiti della Bretagna. Forte, però, fu la delusione di veder ormai chiusa da tempo la pensione di Marie Gloanec, oltre all’accoglienza fredda ricevuta dai suoi ex discepoli. Inoltre, l’avversione della popolazione locale per Anna portò la donna – mentre Gauguin era ricoverato in ospedale – a sottrargli tutto il denaro a disposizione (ma non i dipinti) e a far perdere le sue tracce. Deciso a lasciare definitivamente la Francia per far ritorno in Polinesia, il 18 febbraio 1895 organizzò un’ultima, disperata vendita delle sue tele: il ricavo fu modesto e l’ennesimo fallimento lo ferì al punto che lui stesso ammise che quella sera pianse “come un bambino“. Affidò così le sue opere ad Auguste Bachu e Georges Chaudet e il 3 luglio Gauguin si imbarcò a Marsiglia. Raggiunse Papeete l’8 settembre e si costruì una capanna nel villaggio di Paunaania. Nonostante alcuni malesseri, da una frattura alla caviglia non risolta (dopo un pestaggio per difendere Anna) alle piaghe sulle gambe, passando per le frequenti eruzioni cutanee e la sifilide, trasse giovamento dalla convivenza con la quattordicenne Pahura che, nel 1896, diede alla luce una bambina, che sopravvisse però un solo anno. Nel marzo del 1897, poi, apprese dalla moglie della prematura morte della figlia prediletta Aline, avvenuta il precedente gennaio: di lì in avanti non ebbe più contatto alcuno con la propria famiglia. In preda ad uno stato di profonda prostrazione, nel 1897 si recò sulla sommità di una montagna con una boccetta di arsenico e tentò di suicidarsi, ma la dose assunta – talmente alta – venne spontaneamente rigurgitata e Gauguin rimase lì, per giorni, in preda a strazianti dolori. ‘Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?’ è certamente l’opera che meglio incarna la sofferenza e il torpore esistenziale vissuti. Si riprese in fretta, curato da un medico del luogo, tornò padrone di sé anche da un punto di vista emotivo e produsse un’impressionante mole di dipinti. Il bisogno di trovare luoghi ancor più incontaminati dall’attività umana lo condusse a Hiva Oa, nelle Isole Marchesi, ove diede vita a opere – oltre che scritti – senza tempo, in un perfetto equilibrio tra luci e colori. La sua ostilità contro le autorità coloniali ed ecclesiastiche indusse il tribunale – il 31 marzo 1903 – a condannare Gauguin a tre mesi di reclusione, una pena che non scontò mai: l’8 maggio, infatti, venne trovato morto, disteso nel suo letto, dal pastore protestante Vernier.