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Storia del Partenone, l’edificio più famoso dell’Antica Grecia

Come si presenta, quando è stato costruito, perché. La storia, nei secoli, di uno dei monumenti più suggestivi al mondo. Scopriamo il suo significato e le numerose trasformazioni (chiesa, moschea…) che ha vissuto prima di giungere ai giorni d’oggi

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Voluto da Pericle

Simbolo di Atene e della Grecia classica, emblema della democrazia ateniese, il Partenone venne eretto per desiderio di Pericle, nel V secolo a.C.

Sorse sui resti di un tempio in pietra calcarea precedente – il tempio Hekatónpedos, ovvero “lungo cento piedi” distrutto dai Persiani di Serse durante le guerre del 480. La sua progettazione trovò uno spazio privilegiato all’interno dell’ambiziosa opera di ristrutturazione dell’Acropoli immaginata dal “primo cittadino di Atene”, come lo definì il contemporaneo Tucidide.

Gli architetti responsabili dell’opera furono prima Ictino, poi Callicrate e Mnesicle. Mentre la direzione, con particolare riguardo agli aspetti decorativi e scultorei, divenne appannaggio di Fidia, nominato supervisore (episkopos) dell’intera opera.

Eretto, dunque, tra il 445 a.C. e concluso sostanzialmente intorno al 432, derivò il proprio nome dall’epiteto Παρθένος (parthenos), ovvero “vergine” riferito alla dea Athena ed evocativo del mito della sua nascita per partenogenesi, dalla testa di Zeus.

All’interno della cella centrale – il naos – era custodita una imponente statua crisoelefantina (d’oro e d’avorio: da χρυσός, chrysós, “oro” ed ἐλέφας, eléphas, “avorio”) della dea, realizzata da Fidia stesso.

Il più bel tempio dorico mai realizzato

La struttura posa su uno stilobate – la base da cui si dipartono verso l’alto le colonne – lievemente convesso. L’intervento fu concepito per compensare l’effetto ottico che mostra le superfici piane di una certa lunghezza “piegare” verso il basso.

Anche le colonne presentano un’entasis, ovvero un leggero rigonfiamento a circa un terzo della loro altezza, per rendere visivamente al meglio lo sforzo di compressione a cui sono sottoposte.

Il risultato finale, grazie a tale sapiente uso delle curvature, è quello di far apparire l’edificio assolutamente regolare in ognuna delle sue forme.

L’ultima delle “correzioni ottiche” riguarda le distanze tra colonne e la forma di quelle d’angolo: accorgimenti che sanano lo scarto d’intercolumnio tra i lati del tempio e risolvono la questione angolare.

Mentre la maggior parte delle costruzioni coeve presentavano 6 colonne sul lato-facciata e 13 su quello lungo, il Partenone è ottastilo, ovvero presenta 8 colonne sul lato corto, mentre ne vede 17 sull’altro.

Misure, decorazioni

Il Partenone, dunque, si presenta come un tempio periptero octastilo con una peristasi – ovvero un colonnato continuo – di 46 elementi.

Le dimensioni del naos (la cella interna), del pronaos (il portico d’ingresso) e dell’opistodomos (l’altro portico, situato nella zona posteriore) sono particolarmente ampie per ospitare e concedere il giusto respiro alla statua di Athena Parthenope.

Misurate allo stilobate, le dimensioni della base del Partenone erano:

– 69,5 metri di lunghezza
– 30,9 di larghezza

Il pronao (portico d’ingresso), con due anelli interni di colonne dorico-ionici, era:

– lungo 29,8 metri
– largo 19,2,

All’esterno, le colonne doriche:

– misuravano 1,9 metri di diametro
– erano alte 10,4 metri.

Le colonne d’angolo, come detto, presentano un diametro lievemente più consistente delle altre.

Il tetto – oggi assente – era in legno, probabilmente a capriate, protetto all’esterno da tegole di terracotta.

Il Partenone “non era in bianco e nero”

Il colonnato sosteneva una trabeazione in marmo, ancora presente quasi del tutto, composta da:

– architrave
– fregio
– cornice

Il fregio, dorico, era percorso da un’alternanza di metope decorate a bassorilievi e triglifi con scanalature verticali.

Un secondo fregio ionico correva lungo la parte alta delle pareti del naos, dal lato esterno.

Ciò che risulta difficile immaginare, abituati come siamo ad osservare oggi la struttura essenziale che la storia ci ha consegnato, è che il Partenone fosse, in realtà, coloratissimo. Le sculture, i bassorilievi, le stesse colonne, infatti, erano ricoperti di pigmenti rossi, blu, gialli, verdi.

L’intera struttura architettonica, dunque, era tutt’altro che monocroma.

Chiesa, Moschea… cosa è accaduto al Partenone nei secoli?

Il Partenone riuscì ad attraversare quasi un millennio senza subire sconvolgimenti strutturali. Qualche adattamento interno, magari, probabilmente dovuto alle nuove e differenti necessità d’impiego che si succedevano nel tempo. Ma fino al IV secolo d.C. si ha la certezza del fatto che fosse sostanzialmente intatto.

Quando Atene divenne provincia romana, però, avvenne la prima grande rivoluzione: fu convertito – è proprio il caso di dirlo – in chiesa cristiana.

La statua di Athena Promachos – Atena “che combatte in prima linea” – fusa in bronzo da Fidia nel 460 e posta tra il Partenone e i Propilei, su “deportata” dall’imperatore Teodosio a Costantinopoli (l’attuale Istanbul).

È probabile che sia andata distrutta durante il saccheggio della città nel 1204, durante la Quarta Crociata.

Rimase in funzione come chiesa in epoca bizantina e come chiesa cattolica dedicata alla Madonna durante l’Impero Latino d’Oriente.
Purtroppo, tale impiego ne significò lo stravolgimento architettonico:

– vennero rimosse alcune colonne interne
– furono abbattute alcune porzioni delle mura della cella
– fu addirittura costruito un abside sulla facciata orientale
– molte delle metope originali furono rimosse, perdute o rubate
– parecchie raffigurazioni degli dei furono “riviste e corrette” in chiave cristiana.

Nel 1456 Atene cadde sotto il dominio dell’Impero Ottomano.
Il Partenone, allora, fu colpito da una seconda grande conversione: divenne una Moschea.
Rispettato nella struttura che aveva acquisito nel tempo, vide, di fatto, solo l’aggiunta di un Minareto.

In tempo di guerra, però, in caso di necessità, non si esitò a prelevare materiale edile per costruire muri e fortificazioni: il valore pratico surclassò senza alcun dubbio ogni altra considerazione di natura storica, estetica, religiosa.

L’esplosione

La Guerra di Morea (ovvero lo scontro tra Turchi e Veneziani per il controllo sul Peloponneso e sull’Egeo) inflisse al Partenone il colpo più duro.

Era il 26 settembre del 1687. Le truppe veneziane assediavano Atene, costringendo quelle ottomane a ritirarsi sull’Acropoli fortificandone il perimetro. Il tempio, allora, divenne di fatto un magazzino. Un magazzino delle polveri, per la precisione.

Quando fu raggiunto da un colpo di bombarda sparato dalla vicina collina di Filopappo, la deflagrazione fu enorme.

– Le colonne del lato sud vennero decapitate,
– le sculture sfregiate,
– il tetto crollò in buona parte.

Nella porzione rimasta praticabile, allora, fu concepita una seconda moschea, di dimensioni ovviamente inferiori.

Nell’Ottocento, molti occidentali si recarono ad Atene per visitare il Partenone.
L’ambasciatore britannico a Costantinopoli, Lord Elgin
, ottenne dal Sultano la facoltà di riprodurre con stampi e disegni le opere presenti sull’Acropoli, così come l’autorizzazione a demolire gli edifici recenti che “nascondevano” i reperti originari.

Con l’ausilio di gente del posto, allora, rimosse parecchie metope dalla costruzione, così come prelevò quelle che giacevano disseminate in terra. Tutto ciò, come spesso accadde in quel periodo, prese la via della Gran Bretagna.

Oggi i “marmi di Elgin” si trovano presso il British Museum, nonostante le ripetute richieste da parte di Atene di poterne tornare in possesso.

Altri reperti, sono poi conservati al Louvre di Parigi e a Copenaghen.

Ciò che è rimasto ad Atene è oggi conservato al Museo dell’Acropoli, ai piedi della collina, e sostituito sul monumento, esposto alle intemperie, da riproduzioni.

“Imperdibile”

E, a proposito di riproduzioni – come se non bastasse, dopo tutto ciò che il Partenone ha dovuto subire nel tempo – nel 1897 si registra la costruzione di una copia “fedelissima” del progetto originario, in Tennessee: il Partenone di Nashville.