La versione corretta è va bene, staccato e senza il raddoppiamento della b di bene. La forma che prevede un’unica parola con doppia b, vabbene, è da considerarsi sempre errore. È tuttavia comprensibile che sorgano delle incertezza quando dobbiamo mettere per iscritto questa espressione: vediamo quali sono le ragioni che ci portano a rafforzare la pronuncia – e quindi la grafia – di va bene.
Partiamo dall’intonazione. In Toscana e in diverse aree del Centro e Sud Italia si tende a duplicare il suono di parole tronche, perlopiù monosillabiche, poste di fronte a termini piani, in genere bisillabici. Lo vediamo in a parte tutto, spesso pronunciato apparte tutto, in formule colloquiali come aggratis, in modi di dire come tutto a posto spesso modificato foneticamente in tutto apposto?
Tale fenomeno linguistico, detto raddoppiamento fonosintattico, talvolta è ammissibile solo nella forma orale, altre è invece diventato la norma e viene riportato anche in testi scritti. Sono i casi di chissà – risultato dalla fusione di chi e sa -, eppure – nato dall’unione di e e pure – e appunto – che deriva dall’univerbazione di a e punto.
Visto che una regola univoca non esiste, l’unico modo per scrivere correttamente è quello di imparare a memoria la giusta grafia. Per non fare più errori vediamo quindi come si scrive va bene in diversi contesti.
Esempio 1: “Va bene dai, per oggi basta compiti delle vacanze”
Esempio 2: “Puoi prenotare la visita dall’oculista per il 15 settembre alle 16?” “Va bene, lo farò”
Esempio 3: “Ti va bene se a cena prepariamo il pollo al curry?”
Un’ultima annotazione riguarda l’abbreviazione di va bene, vale a dire vabbè; questa prevede infatti l’unione dei due termini, la duplicazione della b e l’aggiunta di un accento grave sulla e – nonostante esistano altre grafie ammissibili, va beh e va be’. Bisogna comunque ricordare che si tratta di un’espressione usata soprattutto nel parlato più che nello scritto.