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hikikomori Fonte foto: iStock

In Italia oltre 60mila hikikomori: la "colpa" dei genitori

In Italia ci sono oltre 60mila hikikomori, giovani che si chiudono in camera e non hanno rapporti con l'esterno: la "colpa" dei genitori per l'esperto

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

In Italia il fenomeno degli hikikomori, i giovani che si chiudono in casa abbandonando la vita sociale (scuola compresa), riguarda oltre 60mila adolescenti. A lanciare l’allarme è stato Marco Crepaldi, psicologo e presidente fondatore dell’associazione ‘Hikikomori Italia’ durante un’audizione della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza sul disagio giovanile. Qual è la “colpa” dei genitori secondo l’esperto.

Il fenomeno degli hikikomori in Italia

Hikikomori è un termine giapponese che significa ‘stare in disparte’. La definizione è utilizzata nel paese asiatico per indicare una piaga sociale che riguarda i giovani che stanno volontariamente in casa e che si isolano dal resto del mondo per un periodo di almeno 6 mesi. Questa tendenza è sempre più diffusa anche in Italia, come denunciato più volte dallo stesso ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, nonché dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e da numerosi esperti.

Durante un’audizione della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza sul disagio giovanile, lo psicologo Marco Crepaldi ha spiegato che a differenza di altre forme di isolamento sociale, quella dell’hikikomori è “molto particolare”. Questo perché è caratterizzata da “una componente volontaria” che “la rende molto difficile da affrontare, sia per le famiglie che per chi ne soffre”.

Gli hikikomori “non vogliono aiuto, non lo cercano e non lo accettano nel momento in cui gli viene proposto”, ha detto l’esperto. Questo perché “il loro isolamento viene vissuto come una scelta”. La scelta, ha specificato Crepaldi, “di non voler far parte di questa società, di rifiutare le uscite con gli amici, lo sport. Successivamente, dopo questa prima fase di rifiuto di tutte le attività extrascolastiche, purtroppo questi ragazzi arrivano ad abbandonare la scuola”.

La fase “più critica”, ha aggiunto lo psicologo, è “la transizione tra le varie scuole“, in particolare “tra la scuola secondaria di primo e quella di secondo grado”, dunque intorno ai “15 anni“.

Il ruolo dei genitori

Marco Crepaldi ha spiegato che questo ritiro sociale “riguarda tutti coloro che si sentono diversi o respinti o subiscono pressioni”, per esempio attraverso atti di bullismo. Ma queste pressioni “possono arrivare anche dagli stessi genitori”. Molti di questi ragazzi, infatti, “sentono che i genitori hanno delle grandi aspettative su di loro e per questo scappano, talvolta anche dalle famiglie”.

L’esperto ha affermato che “le famiglie possono avere un ruolo più o meno impattante. Ma è un dato abbastanza chiaro che questi ragazzi hanno un rapporto spesso conflittuale con i genitori“. E ha aggiunto: “È vero, nella maggior parte dei casi si tratta di adolescenti, e la conflittualità è corretta”. Ma nel caso degli hikikomori “talvolta arriva a livelli estremi”, che “può scatenarsi anche in una violenza fisica vera e propria”.

Il problema è che “i genitori non si rendono conto di essere delle antenne che trasmettono in qualche modo l’ansia della società“, e “inconsapevolmente li fanno fuggire anche da loro e non sanno il perché”. Fino a dei “casi gravissimi”, in cui i genitori “non vedono i figli isolati per anni”.

Il rischio, ha proseguito Crepaldi, è che questa condizione “si cronicizzi e si patologizzi”. Nella maggioranza dei casi il ritiro sociale volontario “non è legato a patologie psichiatriche, ma a un disturbo di tipo adattativo” che però può diventare “talmente estremo, se non supportato dalla scuola, dalla famiglia o dal tessuto sociale, che si cronicizza fino a rendere l’isolamento irreversibile”.

Quanti sono gli hikikomori in Italia

“L’Istituto Superiore di Sanità- ha riportato Crepaldi – ha certificato che solo nella fascia di studenti delle scuole secondarie ci sono circa 60mila casi“. Ma, come ha specificato l’esperto, si tratta di adolescenti che “continuano a frequentare la scuola. Quindi sono casi che noi identifichiamo nella fase 1, ovvero in una fase pre-abbandono scolastico“. Una condizione “delicata”, ma “meno grave di quella dei ragazzi che noi intercettiamo attraverso la nostra associazione che hanno già abbandonato alla scuola, e che sono più grandi”, avendo “tra i 20 o i 30 anni, o anche di più” che “sono isolati da 5, 10 o più anni”. Si tratta di persone che “purtroppo, se non aiutiamo nelle prime fasi del ritiro, non riusciamo più a recuperare”.

“Non è colpa di internet”

C’è un ruolo tra l’isolamento sociale ed il web? “Sicuramente”, ha risposto lo psicologo. Però “sarebbe un grave errore considerare internet, lo smartphone, i videogiochi, la causa diretta di questo problema“. Questi “hanno un’influenza” e “possono inasprire l’isolamento”, ma “la causa è più di natura sociale e va individuata in particolare in tre elementi”, che sono:

  • l’aumento della competizione;
  • la dinamica familiare;
  • il fattore scolastico.

La dinamica familiare e il fattore scolastico

Per quanto riguarda la dinamica familiare, Crepaldi ha sottolineato che “la denatalità ha un ruolo importante” sul fenomeno degli hikikomori. “Avere pochi figli – ha spiegato – fa sì che questi vengono iper-protetti. E questa iper-protezione dei genitori spesso non favorisce il fisiologico sviluppo dei ragazzi dall’età adolescenziale a quella adulta”. Da questo punto di vista, “l’hikikomori può essere identificato come l’eterno adolescente”. Non solo: “questi ragazzi, oltre ad essere protetti, sono anche pressati. Avere pochi figli spesso comporta avere maggiori aspettative su di loro“. Da questo deriva “una maggiore paura di fallire” da parte dei giovani, “soprattutto se hanno genitori di successo”. Infatti, il fenomeno si riscontra principalmente in contesti familiari con “genitori altamente scolarizzati, magari professionisti”.

Passando al fattore scolastico, secondo Crepaldi “la scuola oggi non funziona dal punto di vista della tutela dei più fragili“. I fenomeni di bullismo nel contesto scolastico si stanno trasformando “da fisici a psicologici”, diventando sempre più difficili da captare anche da parte degli insegnanti. Per l’esperto “servono figure ad hoc che possono entrare nelle aule, ad esempio psicologi, per monitorare le dinamiche di potere all’interno della classe, individuando le potenziali vittime di bullismo così da supportarle”.