Salta al contenuto
Giuseppe Valditara Fonte foto: ANSA

Quanti Hikikomori ci sono in Italia: l'allarme di Valditara

Il ministro Valditara ha lanciato l'allarme sul fenomeno degli Hikikomori, i giovani che si isolano dal resto del mondo: quanti sono in Italia

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

Hikikomori è un termine giapponese che significa ‘stare in disparte’. La definizione è utilizzata nel paese asiatico per indicare una piaga sociale che riguarda i giovani che stanno volontariamente in casa e che si isolano dal resto del mondo per un periodo di almeno 6 mesi. L’unico contatto con l’esterno? I social, i videogiochi e lo streaming. Questa tendenza è sempre più diffusa anche in Italia, come ha sottolineato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che ha lanciato l’allarme durante la presentazione della ‘Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia 2024’. Ecco quanti Hikikomori ci sono in Italia.

Il fenomeno degli Hikikomori in Italia

Vivere chiusi in casa, passando intere giornate sui social network e ai videogiochi, tagliando i ponti con il mondo reale. Questa vita, quella da Hikikomori, interessa 50mila giovani italiani. Lo ha detto il ministro Valditara durante l’annuale presentazione della relazione sulle tossicodipendenze in Italia. “50mila ragazzi – ha spiegato il responsabile della scuola – da oltre 6 mesi sono chiusi in casa, non frequentano la scuola e stanno sui social, isolati completamente”.

I dati mostrano come “la piaga nata in Giappone sia ormai comune anche nel nostro Paese”, ha proseguito. La condizione vissuta da questi 50mila ragazzi può avere conseguenze estremamente gravi: depressione, ansia, disturbi dissociativi e autolesionismo sono solo alcuni degli effetti dell’auto esclusione sociale. Il ministro dell’Istruzione, riprendendo i dati dell’ultimo rapporto Ocse, ha ricordato che un ruolo chiave è giocato “dall’abuso del cellulare e dei social media, che danneggiano anche l’attenzione e il rendimento scolastico”.

“Uno studio Unesco – ha sottolineato Valditara – offre dati drammatici sulla carenza di attenzione, sull’incidenza negativa dell’abuso del cellulare sulla fantasia e la creatività”. E ha ribadito: “Tutti gli studi testimoniano come stati d’ansia, depressivi, di isolamento sociale, siano sempre più legati alla dipendenza dai cellulari”.

A tutto questo, vanno aggiunte altre dinamiche della rete che favoriscono l’isolamento e altri tipi di disturbo psicologico, come il cyberbullismo ed il gioco d’azzardo. “Il 45% dei ragazzi, un milione e 100mila studenti, riferisce di essere stato vittima di cyberbullismo“, ha proseguito il ministro, aggiungendo che “un milione e 300mila ragazzi afferma di aver giocato d’azzardo nell’ultimo anno”.

Le soluzioni di Valditara

Secondo il ministro Valditara, non basta fare informazione nelle scuole sugli effetti negativi di droghe e alcol, ma anche dell’uso dei cellulari e dei social. L’attività informativa “è il primo aspetto fondamentale”, ma “credo che la scuola debba svolgere anche un altro ruolo, che è quello di ridare entusiasmo a questi giovani, di ridare la voglia di credere in se stessi. Di ridare un percorso di vita ai tanti ragazzi che si chiedono ‘quale sarà il mio futuro?'”.

“Non è un caso – ha puntualizzato – che molti studi rilevino che l’abuso dell’alcol, la dipendenza da social, il fenomeno di isolamento e depressione, siano aumentati proprio durante l’epoca del Covid, quando si è interrotto il rapporto sociale”. Infatti “gli studi ci dicono anche che le persone che vivono in solitudine si ammalano più facilmente, vivono di meno”.

Secondo Valditara la scuola, dunque, deve avere un altro obiettivo, ovvero quello di “riscoprire i talenti, rimettere al centro la persona”. La scuola “deve valorizzare i giovani e orientarli”.