L'inquinamento atmosferico danneggia il cervello dei ragazzi
Un nuovo studio condotto negli Stati Uniti conferma che l'inquinamento atmosferico danneggia il cervello dei ragazzi: ecco cosa è stato scoperto
L’inquinamento atmosferico danneggia il cervello dei ragazzi. A confermarlo è stato uno studio condotto negli Stati Uniti dalla Wayne State University di Detroit e dal Cincinnati Children’s Hospital. Ecco cosa è stato scoperto.
- L'impatto dell'inquinamento atmosferico sul cervello dei giovani
- Gli studi precedenti
- Gli esiti dello studio
- Cosa chiedono i ricercatori
L’impatto dell’inquinamento atmosferico sul cervello dei giovani
Esiste una relazione tra inquinamento atmosferico e sviluppo delle capacità cognitive. La nuova conferma arriva da uno studio americano della Wayne State University di Detroit e del Cincinnati Children’s Hospital.
La ricerca, basata su un campione formato da oltre 10mila bambini di età compresa tra i 9 ed i 12 anni, ha messo in luce come l’esposizione agli inquinanti dell’aria, alle polveri sottili e in particolare al Pm2,5 (particolato con diametro inferiore a 2,5 micron) provochi alterazioni delle connessioni cerebrali, con conseguenti disturbi dell’attenzione e possibili problemi di salute mentale durante l’adolescenza.
Gli studi precedenti
Molti studi hanno evidenziato una connessione tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico ed il rischio di disturbi psichiatrici. Il particolato presente nell’aria può influenzare il sistema nervoso centrale, con i bambini e gli adolescenti che risultano più vulnerabili rispetto agli adulti.
L’esposizione all’inquinamento atmosferico è stata associata a problemi neurocognitivi, come una minore memoria di lavoro, difficoltà di concentrazione e rallentamento del processo di elaborazione mentale. Ma anche ad un maggior rischio di sviluppare disturbi mentali.
Tuttavia, i meccanismi alla base di queste correlazioni non sono ancora completamente compresi. Alcune ricerche suggeriscono che gli inquinanti atmosferici, in particolare il particolato Pm2,5, possano influenzare la funzione e la struttura del sistema nervoso centrale attraverso processi infiammatori e immunitari. Questo particolato può penetrare nei polmoni, causando infiammazione e aumentando la permeabilità della barriera emato-encefalica, con possibili conseguenze sul funzionamento cerebrale.
Gli esiti dello studio
La nuova ricerca condotta negli Stati Uniti ha analizzato gli effetti dell’esposizione al particolato Pm2,5 sullo sviluppo del sistema nervoso. In particolare, i ricercatori hanno esaminato il cosiddetto ‘Default mode network’ (DMN), una rete neurale coinvolta in vari disturbi neuropsichiatrici come depressione, ansia e disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Il DMN si ‘silenzia’ durante le attività cognitive complesse e si attiva quando siamo coscienti ma a riposo.
Gli autori dello studio hanno dimostrato che un’elevata esposizione al Pm2,5 altera l’equilibrio tra il DMN e le aree cerebrali coinvolte nell’attenzione e nell’apprendimento.
Cosa chiedono i ricercatori
In conclusione, questo studio “ha dimostrato un collegamento tra elevate concentrazioni di Pm2,5 e interruzioni nello sviluppo delle reti neurocognitive di base durante la prima adolescenza – hanno spiegato i ricercatori -. Le implicazioni per la salute mentale stanno diventando sempre più evidenti, poiché si prevedono piccoli ma importanti aumenti delle concentrazioni di Pm2,5 in tutto il Nord America nei prossimi 25 anni a causa del cambiamento climatico”. E, hanno aggiunto, “i nostri risultati indicano che anche l’esposizione a concentrazioni inferiori a questo standard è associata ad alterazioni neurofunzionali nei giovani, il che può avere implicazioni per la salute a livello di popolazione”.
Questi risultati, hanno proseguito gli studiosi, “supportano la revisione delle linee guida Pm2,5 e sottolineano l’urgente necessità di valutare in modo completo le conseguenze neuroevolutive e sanitarie delle esposizioni a Pm di livello inferiore”. Sono dunque “necessarie ulteriori indagini per chiarire i meccanismi neurobiologici sottostanti (ad esempio, infiammazione e reazioni immunitarie) responsabili di questi effetti associati all’inquinamento atmosferico per sviluppare metodi di prevenzione primaria e secondaria”.
Inoltre, hanno concluso i ricercatori, “è fondamentale riconoscere il campo emergente della psichiatria ambientale e sottolineare la necessità di una ricerca ampliata sui driver ambientali dello sviluppo neurologico e del rischio psichiatrico”.