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Università Fonte foto: iStock

Università italiane a rischio: perché e situazioni più critiche

Allarme lanciato da Svimez sulle università a rischio in Italia: quali sono i problemi che affliggono gli atenei italiani e le situazioni più critiche

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

Le università in Italia sono a rischio: l’allarme è stato lanciato dallo Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Ecco quali sono le situazioni più critiche.

L’allarme di Svimez sulle università italiane

Nel 2030, gli atenei del Sud perderanno il 10% degli universitari. Nel 2040, con una popolazione italiana scesa a 48 milioni (-20%), le università meridionali vedranno il 30% in meno dei neoiscritti (nel 2022-2023 sono stati 120mila su 330mila in tutta Italia), mentre quelle settentrionali assisteranno ad una diminuzione del 20%. È quanto previsto dallo Svimez, che ha stimato il calo degli immatricolati nelle università del futuro, come riportato da ‘La Repubblica’.

“Qualsiasi indicatore consideriamo, l’università italiana è indietro rispetto ai Paesi europei di riferimento”, ha spiegato a ‘La Repubblica’ Gaetano Vecchione, professore associato di Economia all’Università Federico II di Napoli e consigliere scientifico Svimez. “Ai nostri atenei mancano, per esempio, immatricolati tecnologici – ha proseguito -. Tra istituti tecnici superiori e lauree professionalizzanti ci sono 40mila studenti su 1,9 milioni di iscritti, poco più del 2%”. Questi profili in Germania raggiungono “quota un milione, un terzo del totale”.

Perché le università italiane sono in crisi

“L’università è stato uno degli ambiti più penalizzati dalla grande crisi del 2008-2009”, ha aggiunto il professor Vecchione. I tagli “costanti al Fondo di finanziamento ordinario nella prima fase hanno fatto sì che, in termini reali, ancora oggi il contributo pubblico sia inferiore rispetto a 15 anni fa”. Per questo “la spesa pro capite per studente è il 30-40% al di sotto dei cugini europei. Atenei come Foggia, Sannio di Benevento e Reggio Calabria sono in difficoltà”.

Per risollevarsi, secondo il consigliere scientifico dello Svimez, le grandi università dovranno “intercettare gli studenti lavoratori: sono loro ad aver lasciato questo spazio alle telematiche“, ha concluso Vecchione.

Ma gli atenei stanno subendo anche la crisi demografica che sta attraversando l’Italia, come le università di Cagliari, Sassari, Genova e Foggia. Quest’ultima, per esempio, anche quest’anno ha registrato il 10% in meno di nuove immatricolazioni. “Il calo demografico al Sud è visibile, basta entrare in un liceo”, ha commentato a ‘La Repubblica’ il rettore dell’ateneo pugliese Lorenzo Lo Muzio. Non solo: “Da noi la metà degli iscritti non paga tasse, è sotto i 30mila euro di reddito familiare”. Ma per il rettore è anche il successo che stanno riscuotendo le università online a mettere in crisi gli atenei statali. “La concorrenza delle telematiche ci fa fuori”, ha detto Lo Muzio, che ha raccontato: “Lo scorso maggio Foggia fu tappezzata di manifesti che dicevano: ‘Se non volete perdere l’anno, pagate metà retta e venite da noi’. Così ci distruggono”.

La crisi degli atenei italiani ha anche a che fare con la riduzione dei diplomati che si iscrivono al terzo ciclo di studi. “Non riusciamo a convincere il 45% dei diplomati a iscriversi all’università”, ha evidenziato a ‘La Repubblica’ Luca Brunese, rettore dell’Università del Molise. “Molti – ha aggiunto – non hanno la possibilità economica di andare via dal territorio in cui vivono, anche solo per raggiungere Campobasso“. Per questo, “la qualità dell’offerta deve crescere e dobbiamo far capire che laurearsi è un investimento su se stessi”, ha concluso Brunese.