L'aquilone di Pascoli: testo, analisi e commento
Giovanni Pascoli, figura centrale della letteratura italiana tra Ottocento e Novecento, ha saputo coniugare una profonda sensibilità personale con una raffinata maestria poetica. Tra le sue opere più emblematiche, “L’aquilone” occupa un posto di rilievo, offrendo una finestra privilegiata sulla sua visione del mondo e sulla sua poetica.
- L'aquilone: il testo della poesia
- Il contesto biografico e storico
- Struttura e metrica della poesia
- Analisi tematica de L'aquilone
- L'aquilone come simbolo
- Figure retoriche e stile
- Il dualismo tra gioia e malinconia
L’aquilone: il testo della poesia
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch’erbose hanno le soglie:
un’aria d’altro luogo e d’altro mese
e d’altra vita: un’aria celestina
che regga molte bianche ali sospese…
sì, gli aquiloni! E’ questa una mattina
che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d’albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c’era
d’autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.
S’inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù, lassù… Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto… – Chi strilla?
Sono le voci della camerata mia:
le conosco tutte all’improvviso,
una dolce, una acuta, una velata…
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! E te, sì, che abbandoni
su l’omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l’orazioni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento:
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch’io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto…
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co’ bei capelli a onda tua madre…
adagio, per non farti male.
Il contesto biografico e storico
Per comprendere appieno “L’aquilone”, è fondamentale collocare la poesia nel contesto della vita di Pascoli. Nato nel 1855 a San Mauro di Romagna, Giovanni Pascoli visse un’infanzia segnata da tragedie familiari, tra cui l’assassinio del padre, che influenzarono profondamente la sua visione del mondo e la sua produzione letteraria. Dopo la morte del padre, la famiglia Pascoli affrontò gravi difficoltà economiche, portando Giovanni e i suoi fratelli a trasferirsi in diverse città. In questo contesto, Giovanni trascorse parte della sua giovinezza nel collegio degli Scolopi a Urbino, esperienza che avrebbe lasciato un’impronta indelebile nella sua memoria e nella sua poesia.
“L’aquilone” fu composta nel 1897 e successivamente inclusa nella raccolta “Primi poemetti“. In questo periodo, l’Italia stava attraversando significativi cambiamenti sociali e politici, con una crescente industrializzazione e tensioni sociali. Pascoli, tuttavia, preferiva rifugiarsi nei ricordi dell’infanzia e nella contemplazione della natura, temi ricorrenti nella sua opera, come risposta alle inquietudini del presente.
Struttura e metrica della poesia
La poesia è composta da ventuno terzine dantesche, ovvero strofe di tre versi endecasillabi con rima incatenata secondo lo schema ABA, BCB, CDC. Questo schema metrico, reso celebre da Dante Alighieri nella “Divina Commedia“, conferisce al componimento un ritmo solenne e armonioso, in contrasto con la semplicità e l’intimità dei temi trattati. L’uso della terzina dantesca da parte di Pascoli può essere interpretato come un omaggio alla tradizione letteraria italiana, ma anche come un mezzo per elevare temi quotidiani e personali a una dimensione universale.
Analisi tematica de L’aquilone
Il tema centrale de “L’aquilone” è la rievocazione nostalgica dell’infanzia. Il poeta, attraverso la percezione di un cambiamento nell’aria e la fioritura delle viole, viene trasportato indietro nel tempo, rivivendo momenti spensierati trascorsi con i compagni di collegio a Urbino. L’aquilone diventa simbolo di quei giorni felici, rappresentando la libertà, l’innocenza e i sogni dei bambini. La descrizione dettagliata del paesaggio, con le siepi di rovo e biancospino, le bacche rosse e i fiori bianchi, crea un’atmosfera vivida e suggestiva, immergendo il lettore nel mondo dell’infanzia pascoliana. Accanto alla gioia del ricordo, emerge nella poesia una profonda riflessione sulla morte e sul senso della vita.
Il poeta ricorda un compagno di collegio, pallido e malato, che morì prematuramente. Pascoli riflette su come quel giovane sia stato, in un certo senso, fortunato a non aver conosciuto le sofferenze e le delusioni dell’età adulta, avendo visto “cader che gli aquiloni”. Questa considerazione rivela il pessimismo pascoliano e la sua visione della vita come un percorso inevitabilmente segnato dal dolore.
Nella parte finale della poesia, Pascoli esprime il desiderio di una morte serena, simile a quella del suo giovane compagno, accompagnata dalla presenza amorevole della madre. L’immagine della madre che pettina con delicatezza i capelli del figlio defunto è di una tenerezza struggente e riflette il profondo legame affettivo che il poeta aveva con la figura materna. Questo desiderio di una morte dolce e consolatoria contrasta con la realtà della vita adulta di Pascoli, segnata da lutti e sofferenze, evidenziando il suo senso di solitudine e la ricerca di conforto.
L’aquilone come simbolo
L’aquilone, elemento centrale della poesia, assume diversi significati simbolici. In primo luogo, rappresenta l’innocenza e la spensieratezza dell’infanzia, un periodo in cui i sogni possono librarsi liberi nel cielo. Il volo dell’aquilone, con i suoi movimenti incerti e il rischio costante di cadere, simboleggia anche la fragilità dei sogni e delle aspirazioni umane, sempre esposte alle intemperie della vita. Infine, l’aquilone può essere visto come un collegamento tra la terra e il cielo, tra la realtà materiale e il mondo dei ricordi e dei sentimenti, incarnando il desiderio umano di trascendere la realtà quotidiana per raggiungere una dimensione più elevata e pura.
Figure retoriche e stile
La poesia “L’aquilone” è ricca di figure retoriche che contribuiscono a creare un’atmosfera intensa e suggestiva, riflettendo la sensibilità pascoliana. Pascoli utilizza similitudini per descrivere le emozioni e i ricordi, collegandoli agli elementi della natura. Ad esempio, l’aquilone è paragonato a un sogno infantile, leggero e fragile, che si innalza ma rischia di cadere. Le metafore, come quella dell’aquilone che simboleggia la libertà dell’infanzia e la fragilità della vita, aggiungono profondità simbolica al testo. L’uso costante degli enjambement rompe il flusso naturale dei versi, creando un senso di sospensione che riflette l’altalena emotiva del poeta tra la gioia del ricordo e la malinconia per il tempo passato. Questa tecnica conferisce al testo una musicalità delicata, amplificando il pathos.
Le sinestesie (l’accostamento di sensazioni diverse) sono un altro elemento distintivo dello stile di Pascoli. Ad esempio, l’associazione tra colori e suoni crea immagini vivide e multisensoriali: “c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, / anzi d’antico”. Qui la luce del sole evoca sia un’immagine visiva che una memoria emozionale. Inoltre, l’uso delle anafore, ovvero la ripetizione di una parola o espressione all’inizio di più versi, accentua l’intensità emotiva. Ad esempio, il richiamo costante all’aquilone funge da filo conduttore, enfatizzandone il valore simbolico.
Il dualismo tra gioia e malinconia
Uno degli aspetti più affascinanti de “L’aquilone” è il dualismo che attraversa l’intero componimento. Da un lato, la poesia celebra la spensieratezza e la bellezza dell’infanzia; dall’altro, sottolinea l’inevitabilità della perdita e del dolore. Questo contrasto è particolarmente evidente nel ricordo del compagno defunto: un’immagine che mescola dolcezza e tristezza, gioia per i momenti condivisi e dolore per la sua scomparsa prematura. Pascoli riesce a trasmettere queste emozioni complesse attraverso un linguaggio semplice ma evocativo, che parla direttamente al cuore del lettore.
“L’aquilone” continua a essere una delle poesie più amate di Giovanni Pascoli, non solo per la sua bellezza formale ma anche per la profondità dei suoi temi. Il componimento rappresenta una perfetta sintesi della poetica pascoliana, con il suo intreccio di natura, memoria e introspezione. La capacità di Pascoli di trasformare esperienze personali in emozioni universali rende questa poesia un capolavoro senza tempo. L’aquilone che si libra nel cielo non appartiene solo al poeta, ma diventa un simbolo universale della fragilità e della bellezza della vita umana. “L’aquilone” di Giovanni Pascoli è molto più di una semplice rievocazione dell’infanzia: è un viaggio nei sentimenti e nei ricordi, un’esplorazione del rapporto tra passato e presente, tra gioia e malinconia. Attraverso la sua maestria poetica, Pascoli ci invita a riscoprire il nostro “fanciullino” interiore, a riflettere sulla bellezza effimera della vita e a trovare, nella poesia, una consolazione per le nostre inquietudini.