Il percorso di studi può essere prolungato nel tempo fino a quando lo si desidera. È sempre possibile aggiornarsi, ottenere nuovi titoli in relazione alla facoltà scelta o selezionare nuove vie per mettersi alla prova. È così che alcuni decidono di fermarsi dopo la laurea triennale, altri invece proseguono in direzione della specialistica, mentre alcuni optano per la magistrale.
Generalmente ci si cimenta poi nel mondo del lavoro, ma se questo facesse parte dell’ambiente universitario? Non tutti gli studenti che mettono piede in un ateneo decidono poi di separarsene. È il caso di chi opta per un dottorato di ricerca. Si apre così, per loro, un nuovo percorso formativo. Scopriamo di cosa si tratta, evidenziando le possibilità che offre a un numero limitato di laureati, tanto in ambito accademico quanto in quello del lavoro al di fuori di un ateneo.
Cos’è un dottorato di ricerca
L’attuale mondo del lavoro è ben diverso da quello che ha visto protagonisti i nostri nonni e genitori. Negli ultimi 50 anni di storia ha subito dei veri e propri stravolgimenti, come del resto la nostra intera società.
È sempre più evidente come sia necessario un elevato livello di specializzazione, con conseguenti aggiornamenti ripetuti nel tempo, per raggiungere una posizione di prestigio. Un panorama nel quale la laurea ha di fatto perso gran parte del valore che aveva un tempo. Corsi di specializzazione, master e dottorati sono ormai alternative irrinunciabili, o quasi.
L’istituzione del dottorato di ricerca non è così datata, anzi. Risale infatti al 1980, e ancora oggi rappresenta il grado più elevato d’istruzione all’interno del sistema accademico italiano. Nello specifico si tratta di un corso a numero limitato, le cui porte si aprono soltanto per determinati studenti meritevoli. Per quanto si tratti di un percorso post laurea, che offre al termine il titolo di Dottore di ricerca, alcuni possono avere accesso a una borsa di studio, trasformando il tutto, sotto alcuni aspetti, in una parziale attività lavorativa. Vediamo però nel dettaglio di cosa si sta parlando.
Come funziona un dottorato di ricerca
È necessario un elevato grado di istruzione, che vada oltre la specializzazione in un dato campo, se si intende insegnare in ambito universitario o fare carriera nel mondo della ricerca (al di là del settore specifico). Nella maggior parte dei casi la durata si attesta sui tre anni, ma vi sono esempi di dottorati di ricerca da quattro o cinque anni.
Non si tratta di una formula esclusiva del nostro ordinamento scolastico. Ve ne è una versione nei Paesi anglosassoni, noto come Doctor of Philosofy. Generalmente, però, non viene indicato in questo modo, bensì con l’abbreviazione Ph.D.
Prima abbiamo sottolineato come vi sia un numero limitato, ma è bene spiegare come l’accesso al concorso, unico metodo per ottenere un posto, sia aperto a tutti, seppur entro determinati limiti d’età e cittadinanza. A bandire il concorso sono le singole università, in maniera del tutto autonoma. Ogni struttura ha dunque le proprie tempistiche e normative interne da studiare e rispettare.
Completare il percorso comporta l’autonomia nello svolgimento di progetti di ricerca a livelli elevati. Lungo il cammino potrebbero esserci inserimenti presso enti pubblici e privati, sottoforma di stage. In alternativa si potrebbe avere accesso a dei periodi di formazione all’estero, a seconda del campo interessato.
Dottorato di ricerca: borsa di studio
Almeno la metà dei posti messi a disposizione per il concorso d’accesso al dottorato di ricerca è coperta da borsa di studio. Il primo step da fronteggiare è una prova scritta. Generalmente questa consente una generale diminuzione dei candidati. Il superamento della prima fase apre le porte alla seconda e ultima, ovvero il colloquio orale dinanzi a una commissione. A differenza degli esami scritti d’accesso ai corsi universitari, triennali o magistrali, a numero chiuso, le tematiche non sono varie, specifiche e di cultura generale. L’analisi viene condotta su argomenti interamente attinenti al tema del dottorato stesso.
Una sfida mentale non di poco conto, dal momento che si richiede psicologicamente ai soggetti interessati di tornare a considerarsi degli studenti universitari. Un piccolo passo indietro per chi ha in realtà già completato un lungo iter formativo.
Uno degli aspetti più importanti riguarda la borsa di studio. Riuscire a ottenerla equivale a ricevere un compenso annuale. A ciò si aggiunge l’esonero totale dal pagamento dei tributi previsti per l’accesso e la frequenza dei corsi offerti dall’Università. Da precisare, poi, che se è vero che tutti gli atenei possono avere delle tempistiche e norme personali, sotto l’aspetto economico sono tutti uguali. Il compenso annuale, infatti, è identico su tutto il territorio nazionale.
Perché siamo stati un po’ vaghi nel sottolineare come circa la metà, o anche più, dei posti a disposizione sia coperta da borsa di studio? Il motivo è presto spiegato. Il numero è infatti variabile e dipende esclusivamente dal quantitativo di fondi messi a disposizione dell’Università in questione. Per riuscire a ottenere questo compenso, è necessario qualificarsi tra i primi posti della graduatoria, com’è ovvio. Al termine del corso, infine, tutti dovranno sostenere una dissertazione, presentando la propria tesi di dottorato.
Dottorato di ricerca: requisiti
- Requisiti richiesti per accedere al concorso: il primo passo è quello d’aver completato il proprio percorso di studi, ottenendo una laurea specialistica o magistrale. Non vengono esclusi dai concorsi coloro che abbiano studiato all’estero. Ciò che conta è essere in possesso di un titolo equivalente, che risulti riconosciuto dall’ordinamento italiano;
- Aggiornamenti: il dottorato di laurea è stato istituito nel 1980 e per i primi 19 anni il bando per il concorso pubblico è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Dal 1999 in poi, però, ogni ateneo ha ricevuto il diritto all’emanazione dei propri bandi. Ciò vuol dire restare in costante aggiornamenti sui siti delle Università di proprio interesse, al fine di non perdere una ghiotta chance;
- Domanda di ammissione: si può tentare d’essere ammessi a un dottorato di ricerca presentando una regolare domanda, autocertificando i propri dati personali. Vi sono però dei limiti, come nel caso di chi risulti già essere un dottorando. In caso di iscrizione a un secondo corso, si procederà con l’annullamento. Vi sono inoltre dei limiti. Chi frequenta la Scuola di specializzazione medica vedrà ridotta la durata del dottorato a due anni. Chi frequenta Corsi di perfezionamento o Master ha invece un tetto massimo di crediti;
- Prove: ogni Università pubblica il proprio regolamento in merito alle prove concorsuali, così come alla durata dei corsi e agli obiettivi da raggiungere. Generalmente, però, il test si divide in due parti, scritto e orale. Quest’ultima avviene dinanzi a una commissione così formata: Presidente, Membro e Segretario (ognuno di essi è un docente universitario).
Dottorato di ricerca e lavoro
Si parla spesso della difficoltà di collocamento dei laureati nel mondo del lavoro in Italia. Anche chi ha completato un lungo percorso di studi, si ritrova poi dinanzi ad alcune dolorose scelte. Alcuni abbandonano la propria città, spostandosi altrove in Italia. Altri invece volano all’estero, per scelta propria o perché forzati dall’assenza di offerte intriganti. Vi è poi chi accetta di lavorare in un ambito ben diverso da quello per il quale ha studiato tanto.
Tutto ciò è vero, anche se vi sono numerosi esempi positivi. La situazione è però identica anche per chi ha conseguito un dottorato di ricerca? L’indagine AlmaLaurea 2022 evidenzia dei dati molto rassicuranti.
Il tasso di occupazione, trascorso un anno dal conseguimento del dottorato, è del 90,9%. Un dato in aumento di quasi 2 punti in relazione al 2018. Evidente come la formazione post-laurea rappresenti una marcia in più, considerando come tali livelli d’impiego siano decisamente migliori rispetto a quelli registrati per i laureati di secondo livello. Per loro, infatti, il tasso è del 74,6% a un dallo dal termine del percorso. L’indagine chiarisce, inoltre, come per tali soggetti vi siano tempistiche più lunghe d’avvicinamento ai livelli occupazionali dei dottorati di ricerca. Per raggiungere l’88,5%, infatti, occorrono ben 5 anni.
Molto interessante anche il dato sulla disoccupazione, pari al 4,8% dopo un anno dal titolo. Un valore in diminuzione di quasi un punto rispetto al 2019. Anche in questo caso il confronto con i laureati di secondo livello è totalmente pendente da una parte della bilancia, con questi ultimi che vantano il 12,5% di disoccupazione.
Proviamo a fronteggiare, ora, una delle questioni cruciali, quella legata alla retribuzione. L’esempio proposto resta lo stesso, sul fronte cronologico. Trascorsi 12 mesi dal completamento del proprio percorso di studi post-laurea, lo stipendio netto medio è di 1784 euro. Un valore in aumento del 3,1% rispetto ai dati registrati nel 2019. Un quantitativo economico decisamente superiore rispetto a quanto osservato tra i laureati di secondo livello, trascorso un anno dal titolo. Per loro la media è di 1407 euro. Si parla, quindi, di una differenza del 26,8%. Cosa accade invece dopo 5 anni? L’aumento giunge, in media, fino a un massimo di 1635 euro, comunque al di sotto di quanto un dottorato ottiene dopo soli 12 mesi di servizio. Da considerare, in positivo, quanto sia in seguito migliorata la sua condizione finanziaria dopo un lasso di tempo tanto lungo come 60 mesi. Pochi dubbi, dunque. Le statistiche non mentono e è vostra intenzione tentare la strada di un dottorato di ricerca, non vi sono reali motivi per sconsigliarlo.