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Cervelli in fuga Fonte foto: iStock

Cervelli in fuga: 7 su 10 non vogliono tornare in Italia

Tra i cervelli in fuga dall'Italia, 7 su 10 non vogliono tornare: i dati del nuovo rapporto di AlmaLaurea sui laureati italiani occupati all'estero

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

7 emigrati su 10 non vogliono tornare in Italia a lavorare. È quanto emerge dal Rapporto AlmaLaurea 2024 sul profilo e condizione dei laureati presentato a Trieste il 13 giugno. Tutti i dati sui cervelli in fuga.

I cervelli in fuga non vogliono tornare in Italia

Circa il 70% dei laureati che lavora all’estero non vuole rientrare in Italia. Questo uno dei dati più interessanti del XXVI Rapporto AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario che valuta le performance di studio e gli sbocchi lavorativi dei laureati. Andando più nel dettaglio, il 38,4% degli intervistati giudica “molto improbabile” il ritorno nel Bel Paese (+1,2% rispetto al 2022), a cui si somma un altro 30,5% che lo reputa “poco probabile” (-1,3%). Completano il campione il 14,7% che non esprime un giudizio (+0,6%) ed il 15,1% che sta pensando di fare ritorno in Italia (-1,7%).

Il profilo dei laureati italiani che lavorano all’estero

Concentrando l’attenzione sui soli laureati di secondo livello con cittadinanza italiana, il fenomeno del lavoro all’estero riguarda il 4% degli occupati ad un anno dalla laurea ed il 5,5% degli occupati a 5 anni.

Le più elevate percentuali di occupati all’estero sono osservate tra i laureati in ambito:

  • scientifico (8,2% tra gli occupati a un anno e 11,7% tra quelli a 5 anni);
  • linguistico (rispettivamente 8,2% e 11,3%);
  • informatico e tecnologico ICT (7,9% e 13,7%);
  • politico-sociale e comunicazione (5,9% e 7,7%);
  • ingegneristico industriale e dell’informazione (5,8% e 10,1%).

L’analisi per genere mostra una maggiore propensione a lavorare all’estero per gli uomini rispetto alle donne e tra coloro che provengono da contesti socio-culturali ed economici favoriti. Considerando, ad esempio, i laureati del 2018 a 5 anni, lavora all’estero il 6,9% di chi ha almeno un genitore laureato rispetto al 4,8% di chi ha entrambi i genitori non laureati.

Inoltre, tendono a spostarsi più frequentemente fuori dai confini nazionali coloro che risiedono e che hanno studiato al Nord (tra i laureati a 5 anni il 6,6% rispetto al 3% di quanti hanno studiato al Sud) e quanti, già durante l’università, hanno avuto esperienze di studio al di fuori del proprio Paese (15,9% rispetto al 3,2% di chi non l’hanno svolte). “Questi risultati, confermati anche tra i laureati a un anno dal conseguimento del titolo – hanno spiegato da AlmaLaurea -, sono decisamente interessanti perché evidenziano, ancora una volta, come mobilità richiami mobilità, ossia come maturare esperienze lontano dai propri luoghi di origine favorisca una maggiore disponibilità a spostarsi, anche al di fuori del proprio Paese”.

“È interessante, infine, rilevare che quanti decidono di spostarsi all’estero per motivi lavorativi – si legge ancora nel report – sono tendenzialmente più brillanti (in particolare in termini di voti negli esami e di regolarità negli studi) rispetto a quanti decidono di rimanere in madrepatria. Ciò è confermato sia tra i laureati a un anno sia tra quelli a 5 anni”.

Dove lavorano i cervelli in fuga

A 5 anni dal conseguimento della laurea magistrale, la quasi totalità degli occupati italiani all’estero lavora in Europa (90,1%). Più contenuta è, invece, la quota di coloro che lavorano nelle Americhe (5,2%) ed in in Asia (2,7%). Le percentuali relative ai laureati che svolgono la propria professione nel continente africano e in Oceania sono residuali.

Più nel dettaglio, per quanto riguarda l’Europa:

  • il 14,3% dei laureati di cittadinanza italiana lavora nel Regno Unito;
  • il 14% in Germania;
  • il 12,8% in Svizzera;
  • l’8,8% in Francia;
  • l’8,7% in Spagna.

L’analisi dei tempi di inserimento nel mercato del lavoro condotta da AlmaLaurea evidenzia che coloro che sono occupati all’estero hanno trovato un impiego più velocemente rispetto a coloro che lavorano in Italia. Tra i laureati che a 5 anni dal titolo si dichiarano occupati, i tempi medi di reperimento del primo impiego sono pari, rispettivamente, a 5,4 mesi e 7,3 mesi.

Le retribuzioni medie percepite all’estero sono “notevolmente superiori” a quelle degli occupati in Italia. Complessivamente, i laureati di secondo livello trasferitisi all’estero percepiscono, a un anno dalla laurea, 2.174 euro mensili netti, +56,1% rispetto ai 1.393 euro di coloro che sono rimasti in Italia.

Perché i laureati italiani vanno a lavorare all’estero

“I motivi che spingono i laureati a trasferirsi all’estero sono da ricercarsi, prevalentemente, nelle migliori opportunità offerte all’estero, soprattutto in termini di retribuzioni e prospettive di carriera”, hanno sottolineato da AlmaLaurea.

Tra chi è occupato all’estero, infatti, “si riscontra una maggiore soddisfazione”, sia a 1 sia a 5 anni dalla laurea, e, “seppur con diverse intensità, ciò risulta confermato per tutti gli aspetti del lavoro analizzati (con la sola eccezione per l’utilità sociale dell’impiego)”.

In particolare, a 5 anni dalla laurea le differenze più consistenti riguardano:

  • le opportunità di contatti con l’estero;
  • le prospettive di guadagno e quelle di carriera;
  • la flessibilità dell’orario di lavoro;
  • il prestigio che si riceve dal lavoro;
  • l’acquisizione di professionalità;
  • il tempo libero.