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Sunshine Guilt Fonte foto: iStock

Cos'è la Sunshine Guilt, che colpisce la Gen Z (ma non solo)

Restare a casa quando fuori c'è il sole può farci sentire inadeguati: cos'è la Sunshine Guilt, il fenomeno che colpisce la Gen Z (e non solo)

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

È facile rimanere a casa sul divano a leggere un libro o a guardare un film quando fuori piove, meno se c’è il sole. La sensazione di disagio che si prova quando si resta a casa nonostante fuori ci sia una bella giornata ha un nome e colpisce soprattutto la Gen Z (ma non solo): si chiama Sunshine Guilt. Ecco cos’è.

Che cosa è la Sunshine Guilt

Il senso di colpa che si prova quando si resta a casa ma il tempo è bello si chiama Sunshine Guilt. Il termine è diventato virale all’inizio di questa primavera dopo che la tiktoker Renee Reina ne ha parlato in un video. La sorta di vergogna autoimposta che si prova quando si rimane in casa in una giornata di sole è un’esperienza comune che vivono soprattutto gli appartenenti alla Generazione Z ed i Millennials.

La Sunshine Guilt è una specie di variante stagionale della più conosciuta FOMO (Fear of missing out), la paura che, rimanendo a casa durante una giornata soleggiata, ci si stia privando di esperienze uniche. In questi casi, il nostro corpo è sul divano che ha bisogno di riposare ma il nostro cervello glielo impedisce perché pensa alle attività che potrebbe svolgere all’aperto. Risultato? Non solo non si riesce a riposare, ma ci si sente anche inadeguati.

Il parere dell’esperta

Soffrire di Sunshine Guilt “può portare a sentimenti di colpa, ansia, rimpianto, FOMO e, per alcune persone, anche di vergogna”, ha dichiarato a ‘HuffPost’ Emily Hemendinger, professoressa presso il dipartimento di psichiatria dell’Università del Colorado Anschutz Medical Campus. “Le persone – ha spiegato – potrebbero anche finire per pensare di non valere nulla perché non sono produttive o perdono tempo”.

“La Sunshine Guilt è aggravata dal fatto che la nostra società premia e incoraggia la produttività, non solo sul lavoro ma in tutti gli ambiti della vita – ha continuato Hemendinger -. Fin da bambini ci viene detto di non perdere tempo, di non stare seduti, altrimenti siamo considerati pigri. Di conseguenza, molte persone finiscono per equiparare la propria autostima a quanto sono impegnate, a quello che ottengono o a quello che fanno”.

“Questa mentalità, nella nostra società del ‘go-go-go’, è molto comune – ha proseguito l’insegnante -. Tuttavia, porta comunemente all’ansia, alla depressione e alla vergogna”.

Come ha specificato la professoressa Hemendinger, “non aiuta il fatto che i social media ci bombardino con immagini e video di altre persone che si godono la vita. Di solito vediamo foto di persone che si godono il bel tempo andando in bicicletta, facendo un picnic in un parco o sedendosi all’aperto per l’happy hour”.

“Oltre ai valori interiorizzati dal capitalismo di produttività e di non perdere tempo, quando vediamo gli altri che fanno tutto questo, ci viene in mente il nostro bisogno umano di essere un tutt’uno con il gruppo, di inserirci”, ha aggiunto Hemendinger.

Per coloro che hanno la sensazione di non fare abbastanza, Hemendinger suggerisce di essere più indulgenti con se stessi: “Praticare l’autocompassione, in questo caso, significa darsi il permesso di mostrarsi come si ha bisogno di sentirsi nella vita in quel preciso momento – ha detto -. È normale non essere super produttivi ogni giorno. Anzi, è estremamente benefico per la nostra salute fisica e mentale ritagliarsi del tempo per riposare”.