Università, la lettera di 73 società contro i tagli alla ricerca
La lettera di 73 società scientifiche italiane preoccupate per i tagli all'università e alla ricerca: la protesta e cosa chiedono al governo
73 società scientifiche italiane hanno sottoscritto una lettera esprimendo preoccupazione in merito ai tagli alle università e alla ricerca operati dal governo. Ecco cosa hanno scritto nel documento.
- La lettera delle società scientifiche
- Università "alla deriva"
- "Preoccupate riduzione dei finanziamenti"
- Il problema dei 'cervelli in fuga'
- "Qualità della ricerca a rischio"
La lettera delle società scientifiche
I presidenti di 73 società scientifiche italiane hanno sottoscritto un documento in cui esprimono preoccupazioni “sul ridimensionamento dell’università e della ricerca pubblica” attuato dalle politiche del governo Meloni.
“Il mondo dell’università e della ricerca pubblica è stato investito negli ultimi mesi da politiche del governo che introducono importanti cambiamenti”, si legge nell’incipit della lettera.
“A luglio 2024 – hanno proseguito i presidenti – la bozza di decreto sul finanziamento delle università aveva ridotto di circa 500 milioni in corso d’anno i fondi per il 2024, sollevando le proteste della Conferenza dei rettori (Crui) e del Consiglio universitario nazionale (Cun). Tale riduzione è stata poi confermata dal decreto ministeriale sul Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) del settembre 2024, che riduce di 173 milioni l’assegnazione dell’Ffo e non assegna le coperture aggiuntive per i 340 milioni previsti dal piano per gli associati, recuperando le risorse dalla riduzione di quota storica, costo standard e perequazione. Oggi, dall’assegnazione dei fondi agli atenei, emerge che quasi tutti gli atenei statali hanno avuto riduzioni di fondi, con pochissime eccezioni”.
Università “alla deriva”
Hanno scritto ancora le società scientifiche: “In agosto è apparso il disegno di legge per il Reclutamento che cambia profondamente le figure previste per i giovani ricercatori e i docenti esterni. Si delinea la moltiplicazione di posizioni pre-ruolo – per neolaureati magistrali (assistenti di ricerca junior), neodottorati (assistenti di ricerca senior), giovani ricercatori (contrattisti post-doc, oltre agli attuali RTT) -, mentre resta congelato il ‘contratto di ricerca'”. Il quale, hanno proseguito, “a fronte di rigidi incarichi biennali, offriva tutele e remunerazioni maggiori”.
Inoltre, “si apre la possibilità di avere come docenti ‘professori aggiunti'”, ovvero “esperti esterni incaricati direttamente dai rettori, con ruoli e prerogative interamente da definirsi”.
In agosto, prosegue la lettera, “è stato introdotto l’adeguamento Istat degli stipendi per i docenti universitari (+4,8% a parziale recupero dell’inflazione), senza fornire stanziamenti aggiuntivi nell’Ffo 2024. Di fronte a bilanci sotto pressione, gli atenei per la copertura delle nuove spese potranno utilizzare le risorse che il precedente governo aveva assegnato per i piani straordinari di reclutamento, una parte di fondi precedentemente vincolati alla ricerca e i residui degli accordi di programma per l’edilizia universitaria”.
Queste misure, si legge nel testo, “sollevano serie preoccupazioni sul ridimensionamento dell’università e della ricerca pubblica. Come presidenti di Società scientifiche italiane, che rappresentano migliaia di docenti universitari e ricercatori del Paese – impegnati ad affermare la ricerca italiana nel contesto internazionale – non possiamo condividere la deriva che si prospetta per la nostra università“.
“Preoccupate riduzione dei finanziamenti”
E ancora: “Sul piano del finanziamento, gli ultimi anni avevano consentito un certo recupero, anche grazie ai finanziamenti straordinari e temporanei del PNRR, avvicinando la spesa per ricerca pubblica allo 0,75% del PIL. Era questo l’obiettivo indicato nel 2022 dal rapporto del ‘Tavolo tecnico’ insediato dal governo di Mario Draghi“. Ma “a partire da quest’anno si profila una preoccupante riduzione del finanziamento dell’università e della ricerca pubblica. La distribuzione delle risorse che si prospetta – attraverso i criteri adottati e i meccanismi premiali – sta portando a maggiori disparità tra grandi atenei e università ‘periferiche'”.
Le società scientifiche hanno poi ricordato che a livello europeo l’Italia è “ora agli ultimi posti in termini di percentuale di laureati sugli occupati”. Il quadro appena descritto, secondo i presidenti, “aggraverebbe le distanze nei confronti dei maggiori paesi in termini di risorse disponibili”. Per questo “è necessario che la Legge di Bilancio 2025 assicuri un aumento delle risorse per l’università e la ricerca, in particolare per quanto riguarda la quota non vincolata dell’Ffo”.
Il problema dei ‘cervelli in fuga’
Sul piano del personale, “oggi circa il 40% di tutto il personale docente e di ricerca è costituito dagli oltre 20mila assegnisti di ricerca e 9mila Rtda, anche a seguito della proliferazione di posizioni di ricerca finanziate con i fondi PNRR. Nei prossimi tre anni intorno al 10% dei professori ordinari e associati andrà in pensione”. Ma invece di “favorire nuovi concorsi”, hanno proseguito le società, “il governo ha rallentato il turnover e creato incertezza sul reclutamento“.
E sui cosiddetti cervelli in fuga hanno aggiunto: “Nel corso di un decennio, circa 15mila ricercatori e ricercatrici italiane hanno trovato lavoro all’estero. Anziché favorire un ‘ritorno dei cervelli’ e l’attrazione di personale qualificato dall’estero, le politiche del governo rischiano di condurre a una maggior emigrazione”. Per evitare lo spostamento di ricercatori fuori dai confini nazionali, “è necessario che le nuove regole e le risorse per il reclutamento consentano di rinnovare il personale docente di ruolo e ridurre le condizioni di precariato“.
“Qualità della ricerca a rischio”
Anche sul piano della qualità della ricerca “ci sono preoccupanti segnali di ritorno indietro – hanno affermato dalle società scientifiche -. Per le nuove figure di giovani ricercatori e per i ‘professori aggiunti’ potrebbero non essere previsti concorsi pubblici. È necessario che chi insegna all’università sia scelto attraverso adeguati meccanismi di verifica delle competenze”.
Alcune di queste preoccupazioni “erano già state segnalate in una lettera alla ministra Anna Maria Bernini del 9 novembre 2022 – all’indomani dell’insediamento del governo – sottoscritta da 108 società scientifiche italiane. Ci auguriamo che le voci delle Società scientifiche possano contribuire a fermare i rischi di un ridimensionamento – attraverso le attuali politiche del governo – dell’università e della ricerca pubblica in Italia”, si legge nella conclusione della lettera.