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Canto XVI del Purgatorio di Dante: analisi e commento

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il canto sedicesimo del Purgatorio è uno dei momenti più intensi e filosoficamente rilevanti dell’intera Divina Commedia. Ambientato nella terza cornice del monte del Purgatorio, dove si espiano le anime degli iracondi, il canto si distingue per un profondo discorso etico-politico affidato all’anima di Marco Lombardo, interlocutore di Dante. Si tratta di un vero e proprio canto di snodo, poiché rappresenta non solo la metà esatta dell’opera (il cinquantesimo dei cento canti complessivi), ma anche un punto di svolta nella riflessione dantesca sul libero arbitrio, sulla responsabilità morale dell’individuo e sulla corruzione delle istituzioni umane. Attraverso una prosa ricca, densa e meditativa, Dante affronta questioni di grande attualità per il suo tempo e di profonda risonanza anche per il nostro.

L’ambiente della terza cornice e il contrappasso degli iracondi

Dante e Virgilio, proseguendo il loro cammino, giungono nella terza cornice, dove si trovano le anime degli iracondi. L’ambientazione è carica di simbolismo: una fitta coltre di fumo avvolge tutto, rendendo impossibile la vista. I penitenti, accecati e disorientati, vagano lentamente nella nebbia. Questo fumo è l’immagine materiale dell’ira, un sentimento che in vita ha ottenebrato la ragione degli uomini, impedendo loro di vedere chiaramente e di agire con equilibrio. L’ira cieca che dominava le azioni dei peccatori si riflette ora in questa cecità imposta, che serve come purgazione.

Anche Dante è investito dal fumo e, come le anime penitenti, perde l’orientamento. In questo momento di difficoltà, si affida a Virgilio, che gli offre la propria spalla come guida. Questo gesto ha un significato altamente allegorico: la ragione (Virgilio) diventa sostegno necessario quando l’emotività (l’ira) confonde i sensi e offusca il giudizio. Il fumo dunque non è solo punizione, ma anche occasione di introspezione e di riflessione, costringendo le anime a ritrovare la luce dentro di sé.

L’incontro con Marco Lombardo

Nel cuore di questa oscurità morale e fisica, Dante incontra un’anima che si distingue per nobiltà e lucidità: Marco Lombardo. La sua figura è tratteggiata con toni cortesi e rispettosi. Marco si presenta come uomo di altri tempi, esempio di cavalleria e sapienza, e si mostra immediatamente disponibile al dialogo, incuriosito dal fatto che Dante è vivo e cammina tra i morti.

Dante pone a Marco una domanda cruciale, che risuona con forza in tutto il poema: da dove nasce il male nel mondo? È colpa degli astri, cioè del destino e delle influenze celesti? O è responsabilità dell’uomo e delle sue scelte? Questa domanda riassume uno dei dilemmi fondamentali della filosofia morale: fino a che punto siamo liberi nelle nostre azioni? Quanto pesa su di noi la volontà, e quanto invece le circostanze?

Il libero arbitrio e la responsabilità dell’uomo

La risposta di Marco Lombardo è chiara e risolutiva: l’uomo è libero, poiché Dio lo ha dotato di libero arbitrio, cioè della capacità di scegliere consapevolmente tra il bene e il male. Gli influssi astrali possono predisporre, ma non determinare le azioni umane. Ogni individuo ha dentro di sé la possibilità di discernere e di decidere. Questa affermazione ha un valore profondamente teologico e politico: l’essere umano non è mai del tutto vittima del contesto, e la sua salvezza (o dannazione) dipende dalle sue scelte.

Il libero arbitrio, continua Marco, va educato e indirizzato, soprattutto nei primi anni della vita, attraverso leggi giuste e modelli morali. Ma quando le istituzioni preposte all’educazione falliscono, l’uomo si smarrisce e la società intera decade. Il canto diventa così anche una critica alla crisi dell’autorità e della formazione: senza guide illuminate e rette, l’individuo non è in grado di orientarsi nel bene.

Il disordine delle istituzioni e la dottrina dei due soli

Il discorso si amplia fino a includere una delle riflessioni più profonde di tutta la Divina Commedia sul rapporto tra potere spirituale e potere temporale. Marco espone la celebre dottrina dei due soli: Dio ha posto nel mondo due grandi luci a guidare gli uomini, la Chiesa (il Sole spirituale) e l’Impero (il Sole temporale). Ciascuna di queste istituzioni ha un compito distinto ma complementare: la prima deve illuminare le coscienze, la seconda deve regolare la convivenza civile.

Il problema nasce quando uno di questi soli cerca di occupare il ruolo dell’altro. Nel caso storico di Dante, è la Chiesa a essere accusata di interferire nella politica, usurpando poteri che non le spettano. Questo abuso genera confusione, disordine, corruzione. Il risultato è una società priva di giustizia, ordine e virtù, dove l’uomo perde i riferimenti e agisce in modo deviato.

Attraverso Marco, Dante esprime il suo ideale politico: una Chiesa spirituale, povera e santa, e un Impero forte e giusto, guidato da un sovrano laico, autonomo dal potere ecclesiastico. È una visione che si richiama al modello augusteo e che risente profondamente delle tensioni storiche tra Papato e Impero vissute da Dante nella sua epoca.

Il rimpianto per le virtù perdute

Nella parte conclusiva del canto, Marco Lombardo esprime un profondo rammarico per la decadenza morale del suo tempo. Evoca figure del passato che rappresentavano l’eccellenza etica e politica: uomini giusti, saggi, generosi. La loro assenza nel presente è motivo di amarezza, ma anche esortazione al ricordo e alla memoria. Dante, con la sua opera, si assume il compito di tramandare questi esempi ai posteri, offrendo modelli di virtù contro cui confrontarsi.

Questa nostalgia per un’età dell’oro perduta non è sterile rimpianto, ma stimolo alla responsabilità. La poesia di Dante si fa così strumento educativo, capace di parlare al cuore e alla coscienza del lettore.