Capita spesso, soprattutto durante le conversazioni più colloquiali, di sentire utilizzare l’espressione "stai fresco" per indicare un qualcosa che non accadrà mai e per disilludere qualcuno sulla possibilità che quel qualcosa avvenga in futuro. Con ogni probabilità in molti, forse anche tra chi è solito utilizzare questo particolare modo di dire, non conoscono la vera origine di questo detto, che affonda le sue radici addirittura nella letteratura italiana. Ma perché si dice "stai fresco"? Scopriamo insieme chi ha utilizzato per la prima volta questa particolare espressione e in quale circostanza.
Cosa significa l’espressione "stai fresco"
L’enciclopedia Treccani spiega, nel dettaglio, il significato figurato dell’espressione "stai fresco": tale modo di dire, nello specifico, viene utilizzata per disilludere qualcuno su una speranza che si ritiene infondata oppure per indicare quando si è nei guai e si va incontro a un castigo o a una cosiddetta "lavata di capo".
L’origine dell’espressione "Stai fresco": come è nata
La prima persona a utilizzare l’espressione "stai fresco" in un testo ufficiale fu il Sommo Poeta Dante Alighieri nella sua "Divina Commedia". Nel verso 17 del XXXII canto dell’Inferno, in riferimento ai dannati, sepolti e imprigionati a seconda della gravità dei loro peccati nel lago ghiacciato di Cocìto, il celebre autore toscano scrisse: "Là dove i peccatori stanno freschi".
Questo particolare modo di dire è solo una delle tante eredità lasciate da Dante Alighieri alla lingua italiana. Sono tante, infatti, le espressioni utilizzate per la prima volta dal Sommo Poeta e poi entrate a far parte in pianta stabile del nostro patrimonio linguistico.
Le espressioni lasciate a noi in eredità da Dante Alighieri
Quando vogliamo fare riferimento a un evento che non ci scalfisce, possiamo utilizzare l’espressione "non mi tange". Questa stessa espressione è stata pronunciata da Beatrice nel II canto dell’Inferno della "Divina Commedia" scritta proprio da Dante Alighieri.
Allo stesso modo, l’appellativo di "Bel Paese", utilizzato ancora al giorno d’oggi per indicare l’Italia e le sue bellezze, appare nel XXXIII canto, in un’invettiva contro Pisa.
La lista di espressioni lasciate a noi in "eredità" dal Sommo Poeta Dante Alighieri è, però, lunga: nel V canto, quando racconta l’amore tra Paolo e Francesca, nato mentre i due erano intenti a leggere del bacio tra Lancillotto e Ginevra, Dante definisce "galeotto" il libro. Ancora oggi gli italiani sono soliti utilizzare questa espressione per indicare che la responsabilità di un evento è dipesa da qualcosa di estraneo a noi.
Non è tutto: forse non tutti sanno, infatti, che anche quando utilizziamo l’espressione "senza infamia e senza lode" stiamo facendo riferimento a un modo di dire utilizzato per la prima volta da Dante Alighieri. Il Sommo Poeta scrisse il verso "senza infamia e senza lodo" nel III canto per indicare gli ignavi, cioè quelle persone che, nell’arco della loro vita, non avevano avuto il coraggio di prendere posizione. Nel linguaggio comune odierno, quest’espressione sta a indicare un qualcosa che non presenta palesi difetti ma neanche spiccate qualità, tale da essere considerato proprio per questa sua "mediocrità" né particolarmente positivo né particolarmente negativo.