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crepet - galiano Fonte foto: IPA

Crepet contro Adolescence, cosa ne pensa Galiano: esperti divisi

Esperti divisi su 'Adolescence', che sta facendo molto discutere: contro la serie Netflix c'è Paolo Crepet, ma cosa ne pensa il prof Enrico Galiano?

Camilla Ferrandi

Camilla Ferrandi

GIORNALISTA SOCIO-CULTURALE

Nata e cresciuta a Grosseto, sono una giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche. Nel 2016 decido di trasformare la passione per la scrittura in un lavoro, e da lì non mi sono più fermata. L’attualità è il mio pane quotidiano, i libri la mia via per evadere e viaggiare con la mente.

Tutti parlano di ‘Adolescence‘, la nuova serie Netflix che dalla sua uscita, due settimane fa, continua ad essere la più vista della piattaforma. Un po’ per il successo che sta ottenendo ma soprattutto per i temi trattati, intorno ad ‘Adolescence’ si è accesso un grande dibattito anche tra gli esperti, che appaiono divisi: c’è chi ha apprezzato e chi no. Da Paolo Crepet al prof Enrico Galiano: ecco cosa hanno detto.

Perché Paolo Crepet non guarderà ‘Adolescence’

Ambientata in una piccola cittadina inglese, ‘Adolescence’ racconta la storia di un 13enne che viene arrestato perché accusato di aver ucciso una sua compagna di scuola. L’opera in quattro puntate affronta temi complessi all’adolescenza moderna, che vanno dalla violenza giovanile al bullismo, dall’isolamento sociale all’influenza dei social media. Ed è proprio l’attualità di questi argomenti che ha garantito il successo del nuovo prodotto Netflix, suscitando grande dibattito anche tra chi con gli adolescenti ci lavora ogni giorno, dagli insegnanti agli psicologi.

Tra questi, però, non c’è il noto psichiatra Paolo Crepet, che in un’intervista al Corriere della Sera ha affermato: “Non l’ho vista e non intendo farlo”. Il motivo? “Non intendo ingrassare alcuna piattaforma digitale che, peraltro, in linea generale ritengo responsabili del degrado sociale cui stiamo assistendo“.

La critica di Crepet non si limita alla serie stessa, ma si estende al contesto che l’ha portata al successo: e cioè una società che ha definito “anestetizzata”. Secondo l’esperto, il fatto che un 13enne possa compiere un atto così violento “dovrebbe far inorridire” piuttosto che essere oggetto di intrattenimento. “Siamo di fronte a una società brutale, dove nessuno parla più di futuro“, ha commentato.

Dello stesso avviso anche il pedagogista Daniele Novara, che sempre al Corriere della Sera ha detto: “Trovo sempre molto imbarazzante che ci sia chi crea storie sugli adolescenti che necessariamente contengano violenza, se non omicidi. L’età è difficile ma non può essere capita partendo da situazioni limite. Lo spettacolo non deve prevalere sulla comprensione del mondo adolescenziale, che non può diventare occasione sistematica per realizzare opere che abbiano audience o attenzione mediatica”.

‘Adolescence’: cosa ne pensa prof Galiano

L’insegnante e scrittore Enrico Galiano, invece, non ha preso una vera e propria posizione su ‘Adolescence’. Su Facebook ha scritto: “Casella messaggi piena di ‘Oh ma cosa pensi di Adolescence?’ Eh. Due cose, penso”.

E ha spiegato: “La prima: come cavolo hanno fatto ogni puntata a girarla con un solo take. Bravi, davvero”. La serie, infatti, è girata in piano sequenza, una tecnica cinematografica che consiste in una lunga inquadratura riprendendo un’intera azione o scena senza interruzioni o tagli di montaggio.

“La seconda – ha ripreso il prof – è che non ho ancora capito cosa ne penso. Però che botta. Così, in generale“.

Perché si parla tanto della serie secondo lo psicologo Lancini

Diverso il punto di vista dello psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro e docente universitario.

Raggiunto da La Repubblica, Lancini ha spiegato così il successo di ‘Adolescence’: “Ha il merito enorme di promuovere processi di identificazione con tutti. Abbiamo bisogno di parlare delle emozioni, anche le più disturbanti, e fatichiamo a farlo.

Lo psicologo ha proseguito: “A essere cruciale però è l’assenza di un adulto di riferimento. Tanto che a un certo punto sono i ragazzi più in difficoltà a consolare o a doversi prender carico dei loro genitori. La stessa assenza si nota nella scuola – ha aggiunto -, ed è chiaro che spinge ad aumentare il potere orientativo sia dei coetanei che di Internet”.