
Crepet stronca l'educazione affettiva a scuola: "È un'illusione"
Paolo Crepet è tornato a parlare di educazione affettiva a scuola: perché secondo il noto psichiatra e sociologo si tratta di "un'illusione"
Il tema dell’educazione affettiva a scuola è tornato a dominare il dibattito pubblico. Sull’argomento è intervenuto anche Paolo Crepet. Perché “è un’illusione” secondo il noto psichiatra.
Cosa ha detto Crepet sull’educazione affettiva a scuola
Secondo molti, l’educazione affettiva a scuola è un’azione preventiva efficace da mettere in campo per contrastare la violenza contro le donne. Ma non per tutti. Tra questi c’è lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet che, in un’intervista al Corriere della Sera, ha detto che si tratta di “un’illusione”.
“Non vedo come il fare una o due ore alla settimana di educazione affettiva possa scardinare una cultura, ahimè, millenaria e sbagliata e pericolosa, che è quella maschilista“, ha affermato. Secondo lo psichiatra, dunque, fare qualche ora di educazione affettiva in classe non è sufficiente per combattere la “cultura maschilista” radicata nella società.
“Io penso che non abbiamo il coraggio di guardare in faccia la realtà – ha proseguito – e che ci lanciamo ogni giorno in una fuga dalle responsabilità. Lo dico da padre di una giovane donna: se non riusciamo a chiedere ai nostri figli nemmeno ‘Come stai?’, di che cosa stiamo parlando?“.
Già in passato Crepet si era detto “contrario ad un’ora di educazione affettiva a scuola“. A novembre scorso, come riportato da La Repubblica, aveva espresso le sue perplessità dichiarando: “Chi la terrebbe? Chi formerebbe i docenti? Di rispetto, sentimenti, sesso, violenza, può parlare anche la prof di italiano nelle sue ore. La scuola è tutta sentimentale“.
Crepet e l’attacco ai genitori
Nel corso dell’intervista al Corriere della Sera, Crepet ha evidenziato che in tema di educazione il ruolo dei genitori è cruciale. Secondo lo psichiatra, però, il problema è che i padri e le madri di oggi non sanno ascoltare i propri figli, ma si limitano a cercare di rendergli la vita facile, assecondando tutte le loro richieste. Un atteggiamento che per lo psichiatra non aiuta i giovani a crescere e a prendersi le proprie responsabilità.
“Questa storia che parliamo linguaggi diversi è ridicola”, ha detto, sottolineando che il divario generazionale non è aumentato negli anni, ma “è sempre stato così”. Solo che “una volta i bambini delle elementari non andavano a scuola con il trolley – ha aggiunto -. Una volta ti insegnavano che la scuola è fatica, che il lavoro è fatica, che l’amore stesso è una fatica. Se non insegniamo ai più giovani che ogni cosa ha un peso, un prezzo, che comporta una parte di sudore, come possiamo pretendere che loro stessi diano valore alle cose e alle persone?“.
E ancora: “Chiediamoci tutti quanto è durata l’ultima cena che abbiamo fatto insieme a nostro figlio o a nostra figlia. Tredici minuti? E magari con lo smartphone acceso?”.
Paolo Crepet ha così posto l’attenzione sull’importanza di una comunicazione autentica e di qualità tra genitori e figli, evidenziando quanto sia essenziale non solo parlare, ma anche ascoltare attivamente, creando uno spazio sicuro per il dialogo. “Fare domande profonde richiede coraggio, anche quello di sentirsi rispondere con riluttanza“, ha detto, assicurando che tutto questo “fa parte del gioco”. Saper ascoltare i propri figli, ha continuato, vuol dire “mettersi in gioco ogni giorno”. Mentre “il non ascolto crea morte di per sé”, ha concluso.