Cosa significa POV. Fonte foto: 123RF
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Cosa significa e quando si usa "POV"?

Cosa significa "POV" e come si usa, dal mondo dei videogiochi ai social network

Luca Incoronato

Luca Incoronato

GIORNALISTA PUBBLICISTA E COPYWRITER

Giornalista pubblicista ed esperto Copywriter, amante della scrittura in tutti i suoi aspetti. Curioso per natura, adoro scoprire cose nuove e sperimentarle in prima persona. Non mi fermo mai alle apparenze, così come alla prima risposta, nel lavoro come nella vita.

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Sfruttare sigle e acronimi è una caratteristica tipica della Gen Z, soprattutto oltre oceano. Negli Stati Uniti questo elemento è molto presente nel modo di comunicare dei più giovani e, con il tempo, la tendenza ha raggiunto anche l’Europa e l’Italia.

È questo il caso di "POV", che è l’acronimo di "Point of View". Di seguito proviamo a descrivere nel dettaglio cosa voglia dire, ma soprattutto in che modo i ragazzi delle ultime generazioni, il che comprende anche la Gen Alpha, utilizzano questo termine, ormai dilagante online. Vi sono differenti ambiti d’utilizzo e tenteremo di analizzarli tutti.

POV: cosa significa

Vi sono due modi di approcciare alla vita sui social, per piacere e per lavoro. In entrambi i casi, però, il confronto con i trend è inevitabile. Ci si ritrova, infatti, a osservare video che vantano una stessa base, poi delineati in modi differenti e creativamente vari.

È il caso dei video "POV", che su Instagram e Tiktok continuano a spopolare. Come detto, si tratta dell’acronimo di "Point of View", che è possibile tradurre anche in maniera letterale per comprenderne il senso: Punto di Vista.

Ciò vuol dire che il video girato, di qualunque argomento tratti, propone una prospettiva personale. L’idea di fondo è quella di mostrare sullo schermo degli utenti la prospettiva di chi ha realizzato il tutto. È un po’ come poter registrare con i propri occhi, quasi fosse una puntata di Black Mirror.

Precisare tutto ciò è molto importante, considerando come questo tipo di contenuti siano da tempo virali online. In assenza di una chiara spiegazione, diventa complesso riuscire a muoversi nel mondo dei video virali.

Ciò che ha consentito al "POV" di spopolare è di certo il fatto che riesca a creare un vero e proprio ponte con i propri follower, ottenendo un rapporto più diretto e una maggior fidelizzazione. Considerando come i consensi si traducano spesso in guadagni, non è affatto complesso capire perché così tanti "creator" continuino a indugiare in questa tecnica di ripresa.

È interessante, però, come alcuni utenti siano i primi a non aver mai realmente compreso l’uso del "POV". Si tratta di una sorta di "lost in translation", che spinge alcuni a puntare la telecamera su di sé, invece di mostrare quella che è la propria esperienza in prima persona.

Se inizialmente nella sezione commenti questo errore veniva segnalato, oggi è ormai accettato. Si può quindi dire che vi siano due tipologie di contenuti in "Point of View". Da un lato vi è la propria prospettiva e dall’altro c’è la rappresentazione di quello che ci accade.

Facciamo due esempi, uno corretto e l’altro sbagliato:

  • Positivo: durante una cena di Natale, si vuole mostrare l’assillo di domande che i parenti, riuniti a tavola, pongono con insistenza al malcapitato nipote di turno. Un buon "POV" mostra i visi di zii, nonni e genitori che si avvicinano e si mostrano insistenti, come se a guardarli non fosse una telecamera ma gli occhi del "creator";
  • Negativo: durante una cena di Natale, le domande assillanti dei parenti vengono raccontate con la telecamera puntata sul nipote in questione dal quale si pretendono risposte su matrimonio, lavoro, laurea e tanto altro.

Questa seconda opzione, per quanto sbagliata, è una tendenza vera e propria ormai, frutto anche della necessità di alcuni utenti di mostrare il proprio viso per migliorare la fidelizzazione con il pubblico. Creare un filmato divertente, nel quale però non si appare mai, è un rischio che possono permettersi i medi e grandi nomi di Instagram e TikTok, non quelli alle prime armi. Il messaggio che viene trasmesso è proprio questo, stando ai numeri.

POV sui social

Una cosa sorprendente è la necessità di specificare in ogni filmato che si tratti di un "POV". Vi è proprio l’acronimo ben scritto, solitamente sia nel post che in sovraimpressione, con una scritta ben chiara piazzata sul video.

Considerando come questi contenuti siano brevi, si ha infatti la necessità di ottenere un impatto rapido, nell’arco dei primi due secondo di visualizzazione. In nessun caso si vuole correre il rischio che l’utente non comprenda la struttura di fondo. Creare questo disguido, infatti, potrebbe compromettere l’apprezzamento della vera idea di fondo, così come della "punch line".

Ormai è anche molto comune che la dicitura imposta sul filmato, incollata in una parte dello schermo, rimpiazzi il post nel suo ruolo introduttivo. Considerando come tutti guardino i video prima di leggere il post sottostante, quest’alternativa consente di avere tutte le informazioni al click iniziale.

Che si tratti di Instagram o TikTok, l’obiettivo dei creator che sfruttano i "POV" è sempre quello di esprimere un proprio pensiero in merito a un determinato argomento, così come esprimere un certo stato d’animo.

Non si tratta affatto di una tipologia semplice da proporre, considerando come serva una grande creatività per riuscire a far sentire gli utenti coinvolti, immergendosi nella scena proposta.

La tecnica del Point of View viene usata, però, non soltanto da chi crea filmati atti a intrattenere. Spazio anche per gli artisti che mirano a promuovere ciò che producono, il che è principalmente musica in questo caso.

Considerando quanto questa tecnica venga apprezzata, non sono così rari casi di cantanti esordienti che sono riusciti in poco tempo a collezionare milioni di visualizzazioni, il che ha dato uno slancio enorme al loro percorso artistico.

POV al cinema e non solo

Il fenomeno "POV" è ormai enormemente diffuso e radicato in alcune generazioni e va ben oltre il mondo dei social. Basti pensare all’enorme presenza in ambito videoludico, che ha di certo anticipato di molto Instagram e TikTok.

Parliamo di giochi in prima persona, che spesso appartengono alla macrocategoria degli sparatutto. Pensiamo a un esempio standard e celebre, comprensibile da molti: Call of Duty. L’obiettivo è quello di far calare nel ruolo del protagonista il videogiocatore.

Il "POV" in questo caso abbatte in maniera rapida la distanza che intercorre con gli eventi che si svolgono su schermo. Questo è anche il motivo per il quale alcune dirette streaming, su Twitch principalmente, sono così celebri.

Questa pratica è così diffusa e apprezzata da superare il mondo dei giochi per console e PC, approdando anche al cinema. Con questo non diciamo che la prospettiva in prima persona sia giunta sul grande schermo grazie a Call of Duty e simili, sia chiaro.

Giochi registici del genere, infatti, vi sono da molte generazioni. Ciò che ha un’origine videoludica vera e propria, invece, è il primo film girato interamente in "Point of View". Si tratta di Hardcore, film d’azione del 2014 che per l’intera durata ha mostrato allo spettatore una prospettiva personale, quella del protagonista.

Un insieme di action cam ha offerto una visuale mobile e costantemente in movimento, offrendo un effetto straniante in sala. Così come sui social, si mira sempre allo stesso traguardo, ovvero all’immersione totale.

Su tale fronte la tecnologia tenta di fare passi avanti con visori che puntano a escludere il mondo reale, spingendo il singolo a discendere in un universo virtuale e potenzialmente infinito. Di strada ve n’è da fare, ma è chiaro comprendere come il "POV" sia un fenomeno gigantesco, ben più radicato e rilevante di quanto si possa pensare.

Piccola postilla finale: la prospettiva personale ha trovato terreno fertile anche nell’ambito della creazione di contenuti a luci rosse. Il concetto è lo stesso descritto per i social e, per quanto possa sembrare straniante, è già vivo un ambito professionale attivo che connette visori di realtà aumentata e l’intrattenimento per adulti.

Chi ha inventato il POV

Uno degli effetti negativi dei social è quello di spingere alcune generazioni, dai Millennials (i meno coinvolti), alla Gen Z e Gen Alpha, a ritenere che certi trend, brani musicali, battute e, in generale, idee creative, siano nuovi di zecca. La musica è particolarmente sensibile a questo effetto straniante, e così molti giovani, 18enni e non solo, quasi faticano a comprendere come sia possibile che un brano in trend oggi, in versione magari remix, sia stato cantato negli anni ’50.

Ciò accade anche con la tecnica del "POV", che erroneamente si ritiene essere moderna. Tale modo di filmare, in realtà, è alquanto datato. Quando si parla di un contenuto in "Point of View", infatti, si fa riferimento a una produzione mediante quella che viene definita "soggettiva".

Questa tecnica di ripresa cinematografica prevede che tanto la scena quanto i personaggi al suo interno, in azione, vengano inquadrati da una precisa prospettiva, quella di uno di loro, di fatto mai inquadrato in questo frangente. Lo spettatore deve immergersi nei suoi occhi, adottando il suo stesso sguardo.

Le radici affondano fino alle origini stesse del cinema moderno. Guardiamo ad esempio la cinematografia degli anni ’20, quando un film come Napoleone, per citarne uno, proposto nel 1927, consentì a dei sorpresi spettatori di calarsi nell’azione viva.

Una pellicola non scelta a caso, considerando come sia stata girata dal regista Abel Gance, considerato da molti l’inventore del "POV" moderno. Il suo lavoro è stato magistrale, gettando le basi per risultati impensabili per l’epoca, come l’effetto TikTok e Instagram descritto precedentemente.

Non si limitò al "POV" in sé, ovvero a una ripresa in soggettiva. Ebbe anche la brillante idea di avvolgere la macchina da presa con delle spugne, nel corso delle scene d’azione, al fine di consentire agli attori di colpirle e restituire, così, quelle vibrazioni al pubblico in sala.