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Perché lo streetwear si chiama così?

Perché lo streetwear si chiama così? Come è nato e chi ha fondato questo stile di abbigliamento che ha saputo rompere gli schemi.

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Un movimento e uno stile di vita: secondo alcune stime lo streetwear oggi rappresenta il 10% del mercato globale di accessori e abiti. Si tratta di un fenomeno che ha cambiato per sempre il comparto fashion e che ha dato vita a un processo di democratizzazione della moda, mutando le dinamiche del design dei prodotti e dei brand.

Cos’è lo streetwear

Lo streetwear è definito dal dizionario Garzanti come uno "stile di abbigliamento informale e giovanile, tipico dei ragazzi che praticano il rap, lo skate o la break dance (p.e. pantaloni larghi e calanti, cappellini, giubbotti gonfi)". Erano gli anni Settanta quando la moda degli stilisti cominciò a non essere l’unica possibile. Questo grazie al glam rock, all’hippy e al punk che iniziarono a definire nuovi codici di abbigliamento senza più fare riferimento solo all’haute couture e al prêt-à-porter, ma facendo riferimento all’ambiente in cui vivevano. Un esempio fra tutti? Il punk, con l’idea di libertà e trasgressione raccontata in abiti volutamente usurati, rotti e stracciati.

In seguito lo streetwear subì una nuova evoluzione grazie alla nascita in California di comunità di skateboarder e surfisti. Quest’ultimi erano abituati a indossare abiti larghi e comodi spesso abbinati alle sneakers. Lo stile californiano contagiò velocemente New York, grazie anche al legame con l’hip hop, movimento musicale nato in quegli anni. A definirlo per primi furono i Run DMC che iniziarono a indossare tute in acetato con le strisce laterali, cappelli in feltro, t-shirt a tinta unita, sneakers e collane d’oro con ciondoli, ispirandosi ai look dei residenti nel Bronx. Un passo ulteriore venne compiuto nel 1984 quando Michael Jordan firmò un contratto con la Nike per realizzare le sue sneakers che sarebbero diventate le mitiche Air Jordan.

Chi ha creato lo streetwear

I padri fondatori dello streetwear sono considerati Shawn Stussy e James Jebbia. Classe 1954, Shawn Stussy, nei primi anni Ottanta, iniziò il suo percorso per creare lo streetwear. A Laguna Beach, in California, decise di produrre tavole da surf, ma soprattutto t-shirt con il suo cognome stampato sopra. Il logo, ispirato a quello di Chanel, ebbe un enorme successo tanto che negli anni Novanta, Stussy aprì il suo primo negozio a New York con James Jebbia (il futuro fondatore di Supreme). In seguito il marchio cominciò a espandersi in Europa grazie all’aiuto di Luca Benini, il creatore del negozio Slam Jam. L’imprenditore dunque fissò le caratteristiche dello streetwear, collaborando con numerosi brand e producendo delle capsule collection.

Nel 1994 Jebbia decise di inaugurare in Lafayette Street, a New York, il primissimo negozio Supreme, pensato per gli skateboarder con prodotti attaccati sulle pareti laterali e uno spazio centrale in cui girare con la tavola. Negli anni Duemila, Supreme arrivò a Los Angeles, Osaka, Tokyo e Londra, vendendo accessori, capi e oggetti minimalisti, caratterizzati dal logo con lo sfondo rosso e facendo leva sul concetto di scarsità del prodotto. L’esclusività e l’hype intorno allo streetwear – ossia abbigliamento da strada – attirarono l’attenzione di celebrità come Damien Hirst e Neil Young, dando vita a collaborazioni chiave con marchi come Nike, Vans, The North Face, Playboy, Levi’s, Timberland, Stone Island o Louis Vuitton.