Lettere Fonte foto: 123RF
Magazine

L'ossimoro: significato, etimologia ed esempi

Cos'è l'ossimoro. Scopriamo una delle figure retoriche più affascinanti, molto usata anche nel quotidiano

Luca Incoronato

Luca Incoronato

GIORNALISTA PUBBLICISTA E COPYWRITER

Giornalista pubblicista ed esperto Copywriter, amante della scrittura in tutti i suoi aspetti. Curioso per natura, adoro scoprire cose nuove e sperimentarle in prima persona. Non mi fermo mai alle apparenze, così come alla prima risposta, nel lavoro come nella vita.

Facebook Twitter

L’ossimoro è una figura retorica di frequente utilizzo. Se ne registra un uso comune tanto nel linguaggio parlato quanto in quello letterario. Volendo fornire una spiegazione iniziale e alquanto semplificata, si potrebbe dire come consista nell’accostare due parole dal senso contraddittorio. I livelli d’analisi sono però svariati e, partendo dal significato dell’ossimoro, arriveremo fino ai suoi differenti utilizzi, che sfociano anche nel mondo artistico.

Ossimoro significato

Siamo soliti utilizzare l’ossimoro nel nostro linguaggio quotidiano, senza darvi grande importanza. Un automatismo che dimostra quanto questa figura retorica sia in realtà ampiamente diffusa e di certo non relegata a romanzi o poesie. In molti ritengono erroneamente che alcuni elementi linguistici siano parte di un registro aulico, ma la realtà di tutti i giorni smentisce quest’ipotesi. La verità è che molto spesso non si è in grado di analizzare correttamente le frasi che si è soliti pronunciare.

Come tutte le figure retoriche, l’ossimoro mira ad attirare l’attenzione dei lettori e degli ascoltatori. Si tratta di una deviazione dal consono percorso linguistico di una frase comune, che pone, come detto, parole in antitesi l’una di fianco all’altra. Di colpo questo frammento di conversazione si pone in risalto rispetto a tutto il resto. È come se i due termini opposti generassero delle scintille, creando così un nuovo significato. Il mondo della letteratura ha spesso avuto bisogno di colmare quelli che possono essere definiti dei vuoti espressivi. L’ossimoro è la risposta, a volte.

Una figura retorica che racchiude tutta la propria forza nell’impatto paradossale che ha sul lettore o ascoltatore. L’accostamento appare in un primo momento irrazionale, per questo attira l’attenzione e impone una pausa dedicata al ragionamento. Il significato è nuovo, non perché non sia mai stato adoperato ma perché fuoriesce dagli argini della conversazione o scrittura convenzionali.

L’ossimoro nell’arte

Il mondo del reale viene analizzato dall’uomo attraverso la parola e le immagini. Per quanto si possa ritenere vero il contrario, i meccanismi attuati nel secondo ambito sono molto simili a quelli del primo. È quindi del tutto convenzionale riuscire a individuare forme come l’ossimoro nell’arte figurativa.

Una correlazione tra due ambiti artistici che affonda le radici nei secoli scorsi. Basti pensare a Leon Battista Alberti, che nel 1400 suggeriva ai pittori di prestare molta attenzione alle opere letterarie, così da trarne ispirazione tanto per le idee quanto per i meccanismi comunicativi. La potenza dell’immagine è tutta nel fatto di poter racchiudere in sé l’equivalente di un intero e articolato testo letterario. Ogni minimo dettaglio ha un valore interpretativo specifico e un’analisi approfondita può suggerire la presenza di svariate figure retoriche.

In ambito visivo l’ossimoro si realizza attraverso l’accostamento di immagini che mirano a rappresentare delle realtà considerate contrarie. Elementi opposti trovano spazio all’interno di una stessa cornice, generando un effetto straniante. È facile pensare a un esempio che possa mettere in correlazione letteratura e pittura. Ne La sera del dì di festa di Giacomo Leopardi, leggiamo "dolce e chiara è la notte". Definire l’oscurità chiara è un evidente ossimoro, che possiamo individuare ben rappresentato in un’opera di René Magritte. La sua opera "L’impero delle luci" risulta essere quasi uno specchio delle parole del poeta.

La contrapposizione tra luce e buio è resa in maniera netta, suddividendo la tela in due metà. Da una parte vi è spazio per un cielo azzurro dal colore molto intenso. Nuvole bianche corredano il tutto, conferendo una generale aurea di serenità. Nella parte sottostante, invece, regna l’oscurità, che serpeggia e suggerisce differenti sentimenti. Una casa si mostra nel cuore della notte, immersa in un parco la cui vegetazione non offre altro se non un buio più fitto. Le uniche chance di luce sono affidate a un lampione acceso. L’idea di fondo è quella di creare una nuova realtà, così come in letteratura si prova a generare forme differenti dal comune. Magritte disse: "La contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere. Chiamo questa forza poesia". Per quanto opposte, queste due realtà si compenetrano in qualche modo. In cielo trova spazio la figura oscura di un alto albero, mentre in terra il lampione si fa portavoce di una residua luce.

Ossimoro tra musica e cinema

L’uso dell’ossimoro è molto frequente nel quotidiano, al punto tale da non prestarvi più la necessaria attenzione. Posto al di fuori del mondo letterario, si tende a "normalizzare" questa figura retorica, senza dare il giusto peso al complesso significato che spesso si cela alle sue spalle.

Un chiaro esempio nel mondo della musica è presente nel celebre brano di John Legend All of Me, che recita: "Love your curves and all your edges. All your perfect imperfections" (traduzione: amo le tue curve e ogni tua forma, tutte le tue imperfezioni perfette). Il primo riferimento musicale che stuzzica la memoria è però inevitabilmente The Sound of Silence di Simon & Garfunkel, letteralmente il suono del silenzio.

Molti di noi spesso ignorano anche gli ossimori nel mondo del cinema. Tanti i film che presentano titoli che fanno uso di questa figura retorica:

  • Eyes Wide Shut (occhi spalancati, chiusi)
  • Back to the Future (indietro verso il future)
  • True Lies (vere bugie)
  • Dead Man Walking (morto che cammina)
  • Urban Cowboy (cowboy cittadino)
  • Mr. Mom (signor mamma)

Ossimoro etimologia ed esempi

L’etimologia di ossimoro affonda le radici nel greco antico. La parola che cerchiamo è oksýmōron (ὀξύμωρον). Questa può essere suddivisa in due sezioni. La prima è oksýs (ὀξύς) e il significato è acuto. La seconda è mōrós (μωρός), che sta a indicare l’esatto contrario, ovvero ottuso. È evidente, dunque, come si sia scelto di creare un ossimoro per ideare la parola che potesse definire tale figura retorica. È inoltre molto importante porre attenzione sull’accentazione. Al giorno d’oggi utilizziamo molte parole derivanti dal greco e dal latino, modificandole a volte in fase di pronuncia, così da adeguarsi meglio al parlato comune. È il caso di climax, pronunciato come "claimax", così come stadium, che diventa "stedium". Con riferimento all’etimologia greca, quindi, l’accento cade sulla i, il che rende la pronuncia ossìmoro.

Il mondo della poesia offre numerosi esempi di tale figura retorica, proposta come rombo silenzioso da Montale, concordia discorde da D’Annunzio e tacito tumulto in Pascoli. Appena tre citazioni che rappresentano un mero puntino nella vastità della produzione letteraria che fa uso di tale struttura.

Ascolta tra i palmizi il getto tremulo

dei violini, spento quando rotola

il tuono con un fremer di lamiera

percossa; la tempesta è dolce quando

sgorga bianca la stella di Canicola

nel cielo azzurro e lunge par la sera

ch’è prossima: se il fulmine la incide

dirama come un albero prezioso

entro la luce che s’arrosa: e il timpano

degli tzigani è il rombo silenzioso

(Eugenio Montale)

Figure di nèumi elle sono

in questa concordia discorde.

O cètera curva ch’io suono,

né dito né plettro ti morde.

(Gabriele D’Annunzio)

E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;

il cielo ingombro, tragico, disfatto:

bianca bianca nel tacito tumulto

una casa apparì sparì d’un tratto;

come un occhio, che, largo, esterrefatto,

s’aprì si chiuse, nella notte nera.

(Giovanni Pascoli)

Come detto, però, anche se tendiamo a non prestarvi particolare attenzione, nel parlato o scritto quotidiano facciamo ancora uso dell’ossimoro. Di seguito alcuni esempi tipici:

  • silenzio assordante
  • morto vivente
  • stima esatta
  • minuscola folla
  • ricchi miserabili
  • copia originale
  • false verità
  • attimo infinito
  • brivido caldo

Differenze tra ossimoro e antitesi

Il mondo delle figure retoriche può generare confusione, soprattutto perché alcune di esse tendono ad avere aspetti in comune tra loro. È il caso di ossimoro e antitesi, quasi un incubo per alcuni studenti che si ritrovano ad analizzare testi letterari dinanzi a professori o professoresse molto esigenti. Il problema di fondo è rappresentato dal fatto che entrambe queste figure consistono nell’associazione di termini dal significato in contrapposizione. Com’è possibile, quindi, distinguerle?

L’antitesi si sviluppa in strutture sintattiche complesse. Ciò vuol dire che in molti esempi i termini da prendere in considerazione, per evidenziare questa figura retorica, sono lontani tra loro. Possono dunque anche riferirsi a differenti elementi della frase. Spesso in poesia si sfrutta uno schema simmetrico per costruire un’antitesi, il che rende l’analisi più semplice, per così dire.

L’ossimoro è invece composto da due parole in successione. La loro vicinanza, come abbiamo evidenziato nel raffronto con il mondo dell’arte, è molto importante. Nella maggior parte dei casi ci si ritrova dinanzi a un aggettivo o un avverbio utilizzati per determinare il sostantivo che li affianca. Non mancano però esempi in cui le due parole che compongono l’ossimoro si riferiscano alla stessa terza entità, offrendo al lettore due caratterizzazioni in aperta contrapposizione.

Ecco alcuni esempi di antitesi nel mondo della poesia italiana. Partiamo con Petrarca e la sua Pace non trovo:

Pace non trovo e non ho da far guerra;

e temo e spero; e ardo e sono un ghiaccio;

e volo sopra ’l cielo e giaccio in terra;

e nulla stringo e tutto ’l mondo abbraccio.

Proseguiamo con Dante, che costruisce in antitesi la descrizione della selva dei suicidi nel XIII canto dell’Inferno:

Non fronda verde, ma di color fosco;

non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;

non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.