La versione corretta è deficiente, con la i tra la c e la e. A prima vista la i sembra del tutto superflua poiché non ha alcuna utilità fonetica: oltre a non essere pronunciata non serve nemmeno ad addolcire il suono duro della c, come farebbe nel caso in cui la consonante fosse seguita dalle vocali a, o ed u.
Tuttavia, se si scava più a fondo per capire il perché tra la c e la e compaia la i, si giunge a una spiegazione. Come spesso accade nella lingua italiana la causa della suddetta grafia risale al tempo degli antichi Romani: in latino il participio presente del verbo deficio era deficiens, da cui deriva appunto deficiente insieme a deficienza, entrambi termini che interpongono la i tra la c e la e.
Succede la stessa cosa in parole come formaggiera, panciera, arciere, usciere, efficienza, scienza, coscienza e sufficiente, ossia tutti quei vocaboli che terminano in -giera, -ciere/a, -cienza e -ciente.
Quelli sopra citati, tuttavia, non sono gli unici casi in cui rimane una i superflua. Talvolta pronunce arcaiche continuano a vivere nella grafia di alcune parole quali, ad esempio cielo e ciecamente – dove la i serve a diversificare il sostantivo dalla prima persona singolare del verbo celare, vale a dire celo.
Si può quindi concludere che esistono ancora molti casi in cui tra c ed e è d’obbligo una i, proprio come accade in deficiente.